Il pubblico statunitense ha faticato a collocare in un angolo del proprio immaginario Away We Go di Sam Mendes, pronto dal 2009 e oggi nelle sale italiane col dubbio titolo American Life. Privo di star di riferimento come Di Caprio o Tom Hanks, gli incassi non sono stati eccelsi: tredici milioni di dollari a fronte di oltre diciassette spesi per la lavorazione. Ma è un film che merita attenzione, un film di Sam Mendes a tutti gli effetti. Che - va da sé - è sempre stato un regista di grande talento ma eccepibile sotto molti aspetti, a partire dal suo grande amore per il teatro che al cinema spesso si è tradotto in piéces dove l'assunto ha prevalso sul contesto, e situazioni e personaggi finivano asserviti all'intero teorema che il film doveva svolgere.
American Life, in questo, è puro (e non inedito) Mendes: il viaggio alla ricerca di “un posto dove crescere il loro bambino” da parte di Burt e Verona (John Krasinski e Maya Rudolph, belli e intensi come le vere coppie innamorate) è un'affermazione, reiterata e ossessiva, della fugacità di un sentimento come l'amore, destinato fatalmente a scomparire o - nella migliore delle ipotesi - a diventare comunque altro. Qualcosa di cui Burt e Verona diventano consapevoli, in un vagare verso il futuro che terminerà di fronte all'unico punto di riferimento rimasto: il passato. Non c'è cambiamento in due personaggi sempre migliori di chi hanno davanti, sempre di fronte al baratro di cosa potrebbero diventare, incapaci di sapere cosa ne sarà di loro, ma decisi ad andare avanti; ma libero dal dover menare fendenti a senso unico contro i protagonisti corrotti di Revolutionary Road, Mendes conquista con la semplicità e la purezza di un assunto tematico non ingombrante come in altre circostanze. Dosa il grottesco (i personaggi della Gyllenhaal e di Allison Janney, mogli e madri sui generis) e sa regalare un sorriso nei tempi giusti. Il risultato è un film semplice ma diretto, in grado di emozionare perché girato con gusto e sincerità.