“Non è un film politico, ma sulla questione della moralità: che significa esseri disposti a vendere la propria anima per raggiungere un obiettivo? Avrei potuto ambientarlo anche a Wall Street, non lo mai considerato politico, è un film personale. Certo, la politica aumenta i rischi”. Così George Clooney presenta tra gli applausi della stampa The Ides of March, da lui diretto e interpretato, che questa sera apre ufficialmente la 68esima Mostra di Venezia in concorso e arriverà nelle nostre sale il 13 gennaio distribuito da 01.
Tratto dal lavoro teatrale di Beau Willimon Farragut North e scritto da George Clooney e il sodale Grant Heslov con lo stesso Willimon, è ambientato nel mondo politico statunitense, durante le primarie in Ohio per la presidenza del Partito Democratico: protagonista, un giovane e idealista guru della comunicazione (Ryan Gosling) che lavora per un candidato alla presidenza, il governatore Mike Morris (George Clooney), finendo coinvolto nel cinismo e nella corruzione del milieu.
Nel cast anche Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Marisa Tomei, Jeffrey Wright, Max Minghella ed Evan Rachel Wood, il film è stato pensato nel 2007, “poi è stato eletto presidente Obama, l'ottimismo era diffuso  e questa sceneggiatura così cinica: non era il momento adatto, ce ne siamo resi conto, e l'abbiamo rimandato. Ma l'anno dopo è arrivato il momento”. E il film realizzato: “La politica è seducente, quasi tutti i politici utilizzano la ricchezza come arma di seduzione”, sottolinea l'attore-regista – confortato da Giamatti: “Il gioco politico è sexy negli Usa, e il film ne dà l'idea” - e  rimanda  a Shakespeare: “Chi è Cassio, chi Bruto e chi Cesare? Lo lasciamo allo spettatore”.
Comunque, Clooney non ha alcuna intenzione di scendere in politica: “Il tizio in carica è molto simpatico, impegnato e sta soffrendo: ma chi me lo fa fare?”. D'altra parte, “c'è un sacco di cinismo, è difficile governare, ma io sono ottimista”.
Tra i sorrisi per la platea di giornalisti, c'è spazio anche per l'ironia: “Perché ho avuto questi attori meravigliosi? Avevo delle loro foto compromettenti” e, ancora, “Se mi è piaciuto fare il regista di me stesso? Andava proprio bene quella sequenza, bravo George!”. Senza dimenticare la responsabilità morale evocata dal film: “Ogni Paese può rapportarlo  a un proprio scandalo sessuale, ma io non darò mai consigli, nemmeno a Strauss-Kahn”.
Di responsabilità parlano anche Hoffman: “Hollywood non è Washington, la responsabilità dell'attore è diversa da quella di un politico, anche se certe volte ci se ne dimentica” e Giamatti: “La linea di demarcazione oggi è confusa: Hollywood sembra il paese dei balocchi rispetto a quanto accade a Washington”. Perché? “I compromessi a cui può scendere un attore o un regista – conclude Clooney - non cambiano la vita degli altri. Il mio è sempre un gioco: se faccio un errore, non costa la vita  a migliaia di persone”.