“Padri e figli si devono guardare, ma oggi non lo fanno più”. parola di Mimmo Calopresti, che torna al cinema di finzione con Uno per tutti, prodotto da Minerva Pictures con Rai Cinema, distribuito da Microcinema il 26 novembre in una cinquantina di copie.

Nel cast Fabrizio Ferracane, Giorgio Panariello, Thomas Trabacchi e Isabella Ferrari, il film è liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Gaetano Savatteri (Sellerio) e inquadra tra passato, l’Italia anni ’70 degli immigrati al Nord, e presente tre ex amici, legati da un segreto oscuro: il costruttore Gil (Ferracane), il poliziotto Vinz (Panariello) e il medico Saro (Thomas Trabacchi) si ritrovano a Trieste trent’anni dopo quando il figlio di Gil, Teo (Lorenzo Barone), finisce in carcere con l’accusa di aver coltellato un coetaneo durante una rissa.

“Ritorno alla finzione dopo i documentari per interpretare la realtà: oggi tutti vogliono occuparsi del futuro, ma per me è incomprensibile. Bisognerebbe ancorarsi alla forza del passato, alla memoria, viceversa, tutti parlano di un futuro non verificabile, di idea della speranza, retorica del sogno, stiamo attenti a non finire negli incubi… Il passato è ricco, potente, ma non vogliamo farci i conti, preferiamo far finta di niente: ho trasferito questi problemi nel personaggio di Teo, un ragazzo. Ebbene, noi dovremmo occuparci di questi ragazzi, ma non lo facciamo”.

Per Panariello, “ogni comico ha dentro la tragicità, ma era importante che fossi credibile: Mimmo mi ha levato le sovrastrutture comiche, dicendomi di’guardare senza guardare, camminare senza camminare’”, mentre Savatteri parla di “tre stranieri a Trieste, figli dell’emigrazione dal sud al nord” e la Ferrari, che interpreta la moglie di Gil, di una “donna che non riesce ad andarsene e a restare, che ha fallito come moglie e madre: fa buddismo e tai chi per trovare pace, invano. Ha dentro un dolore insanabile. Ma da madre la capisco quando afferma del figlio che ‘la prigione non ne farà una persona migliore’”.

Ancora, Panariello e il suo poliziotto: “Pensavo avrei sparato, sulla scia di True Detective e Gomorra, viceversa, questo è un poliziotto reale, con un salario da fame, la difficoltà di arrivare a fine mese e mezzi inadeguati a combattere il crimine. Ecco, interpretare questo poliziotto che fa rivendicazioni sindacali più che perquisizioni mi ha fatto piacere”.

Se per Trabacchi Uno per tutti riflette sul “rapporto tra etica e amicizia: fin dove è lecito spingersi per aiutare un amico?”, Barone conclude: “Non credo nelle forze dell’ordine, non mi consegnerei, non mi costituirei mai”.