A concorso ormai quasi ultimato (stasera tocca a Questi giorni di Piccioni, domani chiuderanno Lav Diaz e Kusturica, rispettivamente con The Woman Who Left e On a Milky Road), è possibile iniziare a ragionare su favoriti ed eventuali outsider per quello che riguarda il palmarès conclusivo di Venezia73.

Come dalle premesse della vigilia, è stata un’edizione caratterizzata da tanti titoli americani. Tra questi, La La Land di Damien Chazelle ha aperto il Festival (e la competizione) entusiasmando e mettendo d’accordo praticamente tutti. Avverrà lo stesso con la giuria presieduta da Sam Mendes? Difficile pronosticarlo con certezza, a maggior ragione dopo aver visto Jackie di Pablo Larraín, biopic sui generis sulla vedova Kennedy all’indomani dell’omicidio di Dallas. La straordinaria performance di Natalie Portman, però, potrebbe valere all’attrice la Coppa Volpi, di fatto togliendo al film la possibilità di qualche premio maggiore. Stesso discorso può valere per Arrival di Denis Villeneuve e Nocturnal Animals di Tom Ford: in entrambi i casi (ma a noi è piaciuta più nel primo) Amy Adams potrebbe dire la propria per la migliore interpretazione femminile. Coppa Volpi che, va detto, finisse nelle mani di Paula Beer, protagonista di Frantz, nessuno griderebbe allo scandalo. Stessa cosa dicasi se il film di François Ozon dovesse portare a casa qualche premio. La Francia rischia di finire in palmarès anche con Une vie di Stéphane Brizé, melodramma ambientato nell’Ottocento e tratto dal romanzo di Maupassant, con Judith Chemla. E stessa sorte potrebbe capitare a Paradise di Andrei Konchalovsky.

Sul fronte delle interpretazioni maschili, al momento in prima fila vediamo Oscar Martinez, protagonista del film rivelazione della Mostra, l’argentino El ciudadano ilustre di Gastón Duprat e Mariano Cohn, che potrebbe portare a casa anche il premio per la migliore sceneggiatura (di Andrés Duprat). Ma attenzione, in un’edizione come questa, dove molti film dati quasi certi della vittoria potrebbero alla fine – chi per un motivo, chi per l’altro – non trovare l’unanimità di giudizio da parte dei giurati, un titolo come questo potrebbe rischiare anche di andare a prendere il premio più ambito.

Anche perché, e questo sarà forse il vero, grande discrimine con cui la giuria di Sam Mendes cercherà di andare a definire il palmarès, avrebbe più senso premiare un film, ipotizziamo, come La La Land (già acquistato in tutto il mondo e seriamente candidato a fare incetta di nomination ai prossimi Oscar) o “favorire” titoli meno glam come avvenuto, ad esempio, lo scorso anno con il venezuelano Desde allá? Opera prima, tra le altre cose, proprio come quest’anno il cileno El Cristo ciego di Christopher Murray…

Certo, e qui sconfiniamo però in logiche che oltrepassano lo scibile umano, che cosa manca alla seconda era Barbera (questa è la quinta edizione che dirige) per dare la definitiva spallata al Festival di Cannes (vincesse Larraín sarebbe la più grande rivincita del regista cileno, da sempre snobbato da Fremaux) e proseguire nel sentiero già tracciato di rapporti privilegiati con le major (di fatto già certificati considerando le buone sorti dei film d’apertura e le successive edizioni degli Oscar)? Sì, esatto: manca il Leone d’Oro ad un film americano, cosa che non avviene dal 2010 (con la rapina a mano armata del Somewhere di Sofia Coppola, tra l’altro…).

Tutti discorsi che, comunque, lasciano il tempo che trovano. Anche quello relativo alla quasi certa assenza dell’Italia dal palmarès: una Margherita Buy (o una giovane “rivelazione” sempre nel film di Piccioni) da richiamare all’ultimo secondo si trova sempre. A Malick estremi…