In giorni in cui il limite tra rivendicazioni femministe e moralismo sessuofobo è labile, un film come Sex Story può essere utile alla riflessione: il documentario diretto da Cristina Comencini e Roberto Moroni racconta infatti attraverso gli archivi Rai il modo in cui la televisione ha rappresentato il sesso e quindi di come ne ha descritto l’evoluzione nei costumi degli italiani.

 

“È un documentario realizzato - dice Comencini al Torino Film Festival, dove il film è stato presentato - a partire dalle Teche Rai, che ho curato assieme a Roberto Moroni che è grande esperto e appassionato di televisione. Più che sulle donne che sono un argomento troppo dispersivo, ci siamo concentrati sul sesso nella tv e sulla rappresentazione della realtà attraverso il sesso: le relazioni uomo-donna, il corpo, la famiglia e la procreazione. Abbiamo trovato in mezzo ai 3 milioni di ore di registrazione delle Teche del materiale pazzesco: ed è stato affascinante notare il modo in cui la Rai potesse raccontare un argomento che è tornato tabù, anche dando conto dell’arcaicità di quel modo di parlarne”.

 

Senza commento (“Il nostro punto di vista è nel montaggio”), Sex Story è anche la storia del rapporto tra l’evoluzione dell’Italia e le immagini realizzate dal più grande dispositivo di crescita culturale del paese, la RAI, che nonostante sia passata dalle maglie strettissime del cosiddetto codice Guala (la rigidissima auto-regolamentazione imposta dall’amministratore delegato Filiberto Guala a metà degli anni ’50) ha saputo descrivere l’evoluzione della sessualità anche ridendo sopra alle proprie auto-censure: “Oggi c’è anche una certa paura di dire cosa politicamente scorrette, mentre all’epoca c’era una certa incoscienza. Per esempio, nel film mostriamo un pezzo di Gregoretti sui molestatori seriali che è straordinario perché rifletteva su un tema, non si limitava a raccontarlo, come fa la tv contemporanea”.

 

E di quella tv e di quel modo di guardare cos’è rimasto nella tv contemporanea? Come vedremo il presente fra trent’anni, come utilizzeremo la tv di oggi e gli archivi pubblici? “Non è rimasto più niente in pratica, ci sono solo talk show politici e la politica invecchia troppo presto per poter restare fra decenni. Il costume è più storia in questo senso, perché racconta meglio certi fenomeni e siccome i mezzi e i tempi sono cambiati sarebbe giusto farlo anche oggi, per poterci capire meglio in futuro. Un mondo arcaico che certe cose le raccontava, a suo modo ovviamente e per fortuna siamo cambiati da quei tempi, mentre oggi siamo moderni, ma non ci raccontiamo più”. Al massimo ci giudichiamo e cerchiamo di punirci.