(Cinematografo.it/Adnkronos) - "I selezionatori hanno avuto coraggio. Sappiamo di essere dei piccoli ufo all'interno del concorso. Il nostro è un film sulla tensione all'immortalità ma ha tante chiavi di accesso e tanti strati. Non crediamo che sia un film ostico anzi molto semplice". Massimo D'Anolfi e Martina Parenti, registi del documentario Spira Mirabilis, primo film italiano a scendere nell'arena del concorso della Mostra di Venezia di quest'anno (e in sala dal 22 settembre in 20 copie), replicano così a chi giudica troppo criptico il loro racconto: una sinfonia visiva (pochissime le parole pronunciate nelle due ore de film) "sulla tensione all'immortalità", indagata attraverso cinque elementi e cinque protagonisti che agiscono in diversi luoghi del mondo.

"Raccontare l'immortalità -spiega Martina Parenti- ci interessava come aspirazione, come racconto del meglio di noi, di quello che gli uomini possono lasciare agli altri nel senso più positivo. La 'spirale meravigliosa' in fondo è proprio l'umano tentativo di accettare e contemporaneamente superare i propri limiti".

Senza ricorrere a particolari didascalie, i due registi spaziano tra il fuoco (Leola One Feather e Moses Bring Plenty, una donna sacra e un capo spirituale, e la loro piccola comunità Lakota che da secoli prova a resistere di fronte a una società che li vuole annientare) e l’aria (Felix Rohner e Sabina Schärer, due artigiani di Berna e titolari della PANArt, coppia di musicisti che ha inventato lo hang, particolare strumento idiofono composto da due semisfere appiattite in acciaio temperato), l’acqua (Shin Kubota, scienziato e cantante giapponese che studia l’incredibile Turritopsis, una piccolissima medusa capace di rigenerarsi più volte e per questo immortale) e la terra (il processo di continua rigenerazione a cui sono sottoposte le numerose statue del Duomo di Milano): il tutto contrappuntato dalla quintessenza delle cose (l’etere aristotelico), nella persona di Marina Vlady, che dentro a un cinema fantasma scandisce il viaggio attraverso alcuni passi (rivisti) de L’immortale di Borges. "Gli elementi e il racconto sono intrecciati tra loro perché anche in natura lo sono", sottolinea Massimo D'Anolfi.

Ma c'è un sesto elemento determinante nel film: "E' il tempo". Da quello di gestazione del film ("più di 3 anni, dalla prima cosa che abbiamo scritto nel marzo 2013 all'ultima scena girata a maggio 2016") a quello che i protagonisti dedicano alla loro ricerca. "L'importanza di riappropriarsi del tempo in un mondo che va veloce e non ne ha più, è una specie di atto politico: è un dono e un modo per essere resistenti", aggiunge Martina Parenti. "Siamo consapevoli che un film come il nostro difficilmente può piacere a tutti, soprattutto alla prima visione. Noi anche amiamo film di generi diversissimi tra loro. E pensiamo ci possa essere spazio per tutti, anche per noi che siamo artigiani indipendenti, come lo sono le persone protagoniste di questo documentario", conclude D'Anolfi.