"Determinante per la realizzazione di questo film è stato l'incontro con Yolande Moreau, già in fase di stesura della sceneggiatura. Senza di lei non avrei mai messo in scena la storia di Séraphine". Così Martin Provost, che il 22 ottobre porta in sala Séraphine: inizialmente distribuito in sordina in Francia, ha già raggiunto gli ottocento mila spettatori, forte anche dei 7 César vinti, tra i quali miglior film e miglior attrice protagonista, la Moreau, con cui ora Provost sta girando un film dark-poliziesco.
Non desiderando un biopic sulla pittrice Séraphine de Senlis, ovvero l'esistenza tragica di una donna che conobbe gli stenti e l'internamento in un ospedale psichiatrico, ma la rappresentazione di un'eroina moderna per omaggiare la creatività e la resistenza dello spirito di un'artista di inizio secolo, Provost spiega il lavoro di Yolande per riuscire a trasfigurarla: “Ogni volta che la pittrice usava il pennello, le dita, i colori creati con elementi naturali come la terra, le foglie, l'acqua e il sangue di animale e la cera, dovevamo riuscire a percepirli come "metafore trascendentali" delle varie esperienze non vissute dalla donna”.
Importante era poi raccontare l'incontro di Séraphine con il critico d'arte Wilhelm Uhde, scopritore di Rousseau, il primo che acquistò un quadro di Picasso e che per la sua governante (all'inizio Séraphine era solo questo), si è rivelato indispensabile: “Non era un rapporto commerciale che li legava, ma erano l'uno fonte d'ispirazione dell'altro. Si è trattato di un incontro intellettuale e spirituale profondo”.
Provost ha ritratto Séraphine come un'artista visionaria che ha trasgredito la sua epoca e della quale ha ammirato l'opera e la fede, riuscendo a rendere al meglio il rapporto della donna con la natura e le privazioni terrene, riuscendo a non impietosire ma trasmettere allo spettatore la sua forza e vitalità: "Qui giace Seraphine Louis Mariar aspettando la rinascita”, avrebbe desiderato fosse inciso sulla sua lapide (venne seppellita in una fossa comune).