Per quanto l'inizio del XXI secolo – crisi a parte – somigli poco ai primi vagiti del Novecento, siamo ancora alle prese con i grandi maestri del sospetto che marchiarono a fuoco il secolo breve. Prendiamo Freud e Einstein. La psicanalisi non è più la novità deflagrante che sconvolse Vienna a pochi passi dalla finis Austriae, così come la non linearità del tempo fa parte del nostro bagaglio teorico. Eppure, queste lezioni non abbiamo smesso di digerirle. Difficile venire a patti con la circostanza che il mondo interiore ci appartenga solo parzialmente; così come pensare che un viaggio nello spazio alla velocità della luce ci farebbe ritrovare i nostri coetanei (o i nostri figli) più vecchi di noi, se non estinti da generazioni, continua a darci le vertigini. Ecco allora che l'arte (il cinema, in questo caso) viene in soccorso, non tanto per annullare le inquietudini, ma per restituirle alla dimensione che le ha generate: quella umana. Per farlo, va a pescare sull'altro capo dell'immaginario – quello popolato da fantasmi e presenze perturbanti.

A Dangerous Method: Viggo Mortensen è Freud

In Interstellar, i fantasmi nascosti nella cameretta di Murph (Jessica Chastain, Ellen Burstyn, Mackenzie Foy a seconda delle età in cui viene raccontata) mettono in contatto la famiglia di suo padre Cooper, ex astronauta (Matthew McConaughey), con il segreto in grado di salvare l'umanità dall'estinzione. Salvo scoprire – per un gioco di paradossi temporali che sono il pane quotidiano della fisica teorica – che il fantasma altri non era se non lo stesso Cooper il quale, in un futuro che scorre in modo diseguale per chi rimane sulla terra, partirà "presto" per un viaggio in astronave che lo scaraventerà dall'altra parte dell'universo.

Interstellar

Nonostante l'improbabilità di essere noi a sperimentare per primi ciò che per ora accade solo negli acceleratori di particelle, questo dialogo a distanza (una distanza abissale, eppure infrangibile in qualunque istante) tra una figlia e un padre che si ritrova più giovane di lei, ci commuove. Stranamente, lo sentiamo familiare. E questo perché (a livello fantasmatico) ci appartiene in effetti da sempre. Il nostro mondo interiore è popolato da voci che non dominiamo. Parliamo di continuo con (o siamo parlati da) persone che amiamo o abbiamo amato. Da questo punto di vista, dialogare con il fantasma dei nostri genitori, anche quando diventiamo più anziani di quanto loro non furono mai in vita, non è un'esperienza inconsueta. Come se insomma la nostra energia emotiva (l'amor che move il sole e l'altre stelle, suggerisce in modo esplicito Christopher Nolan) sia in combutta con la forza che forgia e distrugge e fa rinascere l'universo di continuo.

L'inquietante fantasma dalla voce granulosa che tormenta il povero Riggan Thomson (Michael Keaton) in Birdman, ha invece a che fare con i bassi istinti. Nel film di Iñárritu, Riggan è un attore famoso per aver girato film dozzinali (ma dagli incassi stratosferici) nei panni di Birdman, un supereroe. Solo che ora Riggan vuole emanciparsi dai film di cassetta portando a Broadway una pièce tratta dai racconti di Raymond Carver. Nella missione, è ostacolato di continuo da questa voce interiore. È Birdman che gli parla, il suo alter ego, suggerendogli di mollare tutto e ritornare ai film dozzinali ("come artista non vali niente", gli suggerisce di continuo, "come macchina da soldi il mondo è tuo").

Nel XXI secolo, insomma, il super-eroe di celluloide (l'interiorizzazione dello show-biz, così pervasivo da dominare l'inconscio) è il rovesciamento del vecchio super-io freudiano. Al posto dell'austero gendarme che ci teneva a distanza dalla sfrenatezza dei desideri distruttivi c'è un barbarico sobillatore che ci istiga a prenderci quel che vogliamo, a soddisfare ogni brama con ogni mezzo disponibile. Ognuno di noi ha un Birdman con cui confrontarsi. E se sconfiggere i guasti della società dello spettacolo attraverso uno scontro frontale risulta spesso proibitivo, è nella dimensione fantasmatica che bisogna scendere ancora una volta per salvare la parte migliore di sé e averla forse vinta sulle oscure potenze che dominano il mondo di sopra.

Originariamente pubblicato con titolo "Ghost Stories" a firma Nicola Lagioia sul numero 1-2 gennaio-febbraio 2015 della Rivista del Cinematografo