La Storia dell’Istituto Luce è davvero una delle più singolari ed esemplari del cinema italiano. Nato oltre 90 anni fa, nel 1924, e per volere di Mussolini divenuto la più formidabile e capillare macchina di propaganda del regime fascista, il luogo da cui mostrare il paese ‘come andava visto’, nel tempo il Luce si è trasformato in tutt’altro. Con la democrazia e i decenni la macchina di propaganda è diventata il soggetto produttivo e distributivo del cinema pubblico, con centinaia di film, di cui alcuni entrati nella memoria collettiva. Ed è diventato l’Archivio Luce, che tutti conosciamo: un patrimonio unico in Europa di immagini, filmati, fotografie, documenti, che ci mostrano il paese che eravamo e che siamo, non solo sotto il fascismo ma durante tutto il Novecento. Da questa unione di cinema e archivio nasce uno dei marchi di fabbrica del Luce, un vero DNA della sua storia: la produzione di documentari.

Oggi il documentario, il ‘cinema del reale’, sta vivendo un’esplosione forse mai vista: partecipazioni e premi nei più importanti festival, proiezioni in crescita nei cinema, programmazioni in tv e nel web, affermandosi come forse il genere cinematografico più vitale delle ultime stagioni. Una tendenza che non sembra doversi esaurire, anzi.

Tanto di questo cinema e di questi nuovi film proviene dall’Istituto Luce Cinecittà. Che nell’ultimo decennio ha ospitato tutti o quasi i più apprezzati autori di cinema della e sulla realtà, i quali hanno trovato negli archivi e nelle moviole di Via Tuscolana, la materia e la libertà di raccontare la Storia e insieme le loro storie, interpretazioni, sguardi. Non più (non solo) documentari storici, ma racconti e memorie autorevoli nel documento, e liberi nella ricerca, nel linguaggio, e in visioni che emozionano tanto (a volte più) di un film di fiction. Arrivando a coinvolgere anche maestri di quel cinema: come Scola, Olmi, Amelio. Lo stesso recente Orso d’oro a Berlino e candidato per l’Italia agli Oscar, Fuocoammare di Gianfranco Rosi, porta il marchio Luce.

Per omaggiare e proporre al pubblico la creatività di questa factory del documentario, la Casa del Cinema presenta STORIE IN LUCE, una speciale mini-rassegna di quattro documentari targati Istituto Luce-Cinecittà: lavori recenti di importanti autori capaci raccontare la nostra storia (e il nostro presente) e di essere applauditi tanto nei festival e dalla critica, che dal pubblico delle sale.

Quattro appuntamenti dal 24 novembre al 5 dicembre, tutti alle 20.30 a ingresso libero,  alla presenza degli autori dei film, che ne discuteranno con il pubblico affiancati dal curatore della retrospettiva, il giornalista e critico Maurizio Di Rienzo.

Si parte giovedì 24 novembre con Assalto al cielo, ultimo applauditissimo lavoro al Festival di Venezia di Francesco Munzi, che dopo il successo internazionale di ‘Anime nere’ racconta il decennio 1967-‘77 attraverso le lotte, l’immaginario, le derive violente e le utopie felici dei giovani che sognarono di cambiare il paese. Un film che interroga (anche) la partecipazione politica nel paese di oggi.

Venerdì 25 in anteprima nazionale si vedrà L’attesa (Pritja) di Roland Sejko, già David di Donatello 2013 per il Miglior documentario con ‘Anjia – la nave’, che qui racconta in un sorprendente ‘poemetto visivo’ la storia epica e drammatica di un paese, l’Albania, che per 50 anni fu l’unica nazione dichiaratamente atea del mondo. Un viaggio che parte dalla costruzione della più grande cattedrale dei Balcani, passa per decenni di ‘religione’ stalinista e attende l’arrivo dell’aereo di papa Francesco nel suo primo viaggio pastorale.

Martedì 29 novembre spazio a uno dei più affascinanti e irrisolti misteri d’Italia, con Nessuno mi troverà – Majorana Memorandum di Egidio Eronico, documentario ‘definitivo’ sulla scomparsa nel 1938 del geniale fisico siciliano Ettore Majorana, un film che ha già attirato l’attenzione di critica e media e spettatori in un tour nelle sale seguitissimo.

Ultimo appuntamento Lunedì 5 dicembre con un’altra anteprima, L’uomo che non cambiò la storia di Enrico Caria, storia vera e tragicomica di Ranuccio Bianchi Bandinelli, principe dell’archeologia italiana, della sua visita guidata e del più clamoroso attentato mai immaginato nel ‘900: quello ai due ‘turisti’ romani, Hitler e Mussolini.