L’impressione vedendo dal vivo il capitan Chelsea Sullenberger dopo averlo conosciuto interpretato da Tom Hanks nell’ottimo film di Clint Eastwood presentato al Torino Film Festival è che il vero Sully sia davvero un alter ego eastwoodiano: carisma e contenuta dignità, poche parole e una fede nel lavoro e nell’umanità ammirevoli. L’uomo che ha salvato 155 persone con un ammaraggio sul fiume Hudson nel gennaio 2009 è laconico ma a suo agio davanti i giornalisti, dopo che quell’evento lo rese un eroe e un personaggio pubblico. E a Torino racconta come è nato il film: “Il mio amico Harrison Ford, anche lui pilota, ha consigliato il libro che avevo scritto al produttore Frank Marshall che assieme ad altri ne ha acquistato i diritti. Dopo qualche tempo di progetti e proposte poco adatte, nel maggio 2015, mi è arrivata una telefonata e pochi giorni dopo ho visto Clint Eastwood alla mia porta”.

Un Eastwood lontanissimo dall’immagine dell’ispettore Callahan che Sullenberger si aspettava, un uomo cortese e riflessivo che ha parlato con il capitano e la moglie soprattutto per rassicurarli: “Mi ha detto che era l’uomo adatto per raccontare la mia storia perché anche lui era sopravvissuto a un ammaraggio di emergenza raggiungendo la costa di San Francisco a nuoto assieme al capitano di quel volo. Abbiamo fatto una sorta di atto di fede nei suoi confronti e ne siamo contenti”.

Uno degli elementi che emerge tanto dalla figura del capitano quanto dalla sua rappresentazione filmica è la forte consapevolezza della sua professionalità, la consapevolezza di un impegno civile per tenere in sicurezza i passeggeri e che ora Sullenberger può esprimere anche agli executive e ai dirigenti delle compagnie aeree che lo consultano. Anche perché dopo i 15 mesi di investigazione che ne hanno messo al microscopio vita e lavoro, l’integrità del capitano ne è uscita rafforzata: “Ci sono pochissimi secondi per prendere una decisione durante un volo per questo è normale che una commissione abbia indagato così minuziosamente su di me anche mettendomi in forte discussione. Ho partecipato a commissioni d’inchiesta simili e so che hanno semplicemente fatto il loro lavoro. Non di meno, non posso negare di avere avuto più di un anno di disagi: nel film ci sono i miei pensieri e le mie parole, soprattutto quelle di gratitudine nei confronti della crew di quel volo”.

Vedere però la propria vita su uno schermo ha fatto sul capitano un effetto del tutto differente: “Quando ho visto il film sembrava tutto surreale, come se notassi la differenza tra un ritratto e una fotografia. Ma il ritratto che di me hanno fatto Eastwood e Hanks è un ritratto molto accurato, non solo fisicamente, sono riusciti a riprodurre le mie frasi, il mio modo di esprimermi, i miei pensieri e le mie emozioni. È stata quasi un’esperienza extra-corporea.  Quando concedi i diritti della tua vita è come consegnare le chiavi della tua auto e vedere qualcuno andare via. Ma Clint è un ottimo autista”. E lo ha dimostrato nella scena del film più emozionante per il capitano (e per lo spettatore), ossia l’ascolto dell’audio della scatola nera durante l’incidente: “È stata un’intensa emozione, perché dopo esserci fidati della nostra memoria ora rivivevamo quell’esperienza. E come il film mostra ci siamo dovuti prendere una pausa, ma dopo, io e il co-pilota eravamo fieri del nostro lavoro”.

E come Eastwood, Sullenberger ci tiene a sottolineare l’umanità e l’universalità dei suoi valori e di ciò in cui crede: “Non c’entra la politica, i repubblicani o i democratici, e neppure l’America. Quello che professo come professionista e come persona sono valori che reputo umani e universali; e sono contento che questo sia concetto sia uno dei cardini del film, che esalti le virtù civiche, i meriti e l’importanza degli altri”. Ora a quasi 8 anni dalla sfiorata tragedia Sullenberger ha una vita molto diversa da prima che a fronte di qualche elemento negativo gli ha dato opportunità che non sperava nemmeno in 100 anni di vita: “Eppure ciascuno di noi ogni tanto sogna di tornare al 14 gennaio 2009, quando tutto ciò non era ancora successo. È stato un trauma e in certi momenti speriamo di riavere indietro la nostra vita. Ma poi, quando pochi giorni dopo ho incontrato Obama appena insediatosi come presidente ho pensato che quell’evento mi avrebbe permesso di migliorare come pilota e avrei avuto l’opportunità con quella esperienza di formare altri piloti alla sicurezza, fattore che a volte le compagnie aeree mettono in secondo piano”.