“Il lavoro mobilita l’uomo”, si può leggere dalla pagina Linkedin di Gianluca Misiti (Classe 1970, Roma). Ed è quello che ha fatto da sempre, mobilitarsi. “Ho molto imparato da me, seguendo cuore e orecchio più che regole rigide”, come ci ha detto raggiunto a Roma dov’è tornato dopo le repliche esplosive al Teatro Era di Pontedera (Pisa) con la compagnia Fortebraccio Teatro (www.fortebraccioteatro.it), che vede l’attore e regista Roberto Latini anima, corpo e voce vibranti (anche per il cinema, con titoli quali La pecora nera di Celestini e la serie Romanzo Criminale di Sollima). Collaborazione che ha portato Misiti a vincere il Premio Ubu 2015 (i David di Donatello del teatro) per il miglior progetto sonoro o musiche originali per il capolavoro da Pirandello I giganti della montagna.

 

La curiosità, che ha sempre dimostrato (quando l’abbiamo chiamato stava “studiando”), l’ha spinto ad essere musicista al pianoforte e tastiera, alchimista al mixer e sintetizzatore, compositore oltre che di teatro anche per il cinema, annoverando collaborazioni ad album e tournée con la musica italiana maiuscola: Max Gazzè (La favola di Adamo ed Eva), Marina Rei, Paola Turci, Daniele Silvestri (con lui ormai in tournée da ben 22 anni).

La sua prima incursione alle colonne sonore è stata collaterale, con il doc d’autore Giving voice – La voce naturale (2007, regia Alessandro Fabrizi), sul seminario che Kristin Linklater, trainer vocale di fama internazionale (Donald Sutherland, Bill Murray, Angela Bassett, Sigourney Weaver tra le personalità che seguono il suo metodo) ha tenuto nel contesto suggestivo dell’isola di Stromboli nel giugno 2007; lui alle musiche per lo spettacolo finale dalle Metamorfosi di Ovidio, che vedeva anche Maya Sansa e Manuela Mandracchia tra i protagonisti.

Episodio che sembra però aver rotto il ghiaccio, tanto che il viaggio verso un’altra isola è stato galeotto…

Ho incontrato nel 2010 Edoardo Leo in traghetto verso la Sardegna. Mi ha detto che dopo tanti tentativi era riuscito a coronare il suo sogno: realizzare una regia. E mi ha chiesto di collaborare.

È nata così con Diciotto anni dopo la sinergia creativa tra Leo e Misiti, che li ha visti ancora insieme in Buongiorno Papà (2013), Noi e la Giulia (2015), fino al recente Che vuoi che sia (2016).

Con Edoardo ci siamo conosciuti frequentando gli stessi ambienti romani. In particolare ce n’era uno, Il Locale, al vicolo del fico (Roma, ndr): lì nei secondi anni 90 c’è stato un fermento incredibile. Qui ho conosciuto Daniele (Silvestri, prima di Sanremo, ndr), i Tiromancino, Max (Gazzè, ndr). Ma anche attori come Alberto Molinari, Enrico Lo Verso, Rocco Papaleo; e ancora Pergiorgio Bellocchio, Pierfrancesco Favino…

Oltre a quello di Leo, anche Misiti ha così coronato un sogno, quello del cinema.

Lo è stato fin da bambino, da quando ho iniziato a suonare. Dopo aver scritto tante cose, il passaggio dal teatro al cinema è stato super naturale. In fondo è un po’ simile: anche se nel teatro c’è un’interazione più viva, variabile, a livello di immedesimazione con la sceneggiatura la relazione è la stessa. Quando ho iniziato con Edoardo non mi sono posto il problema di come fare, e sintonizzarci è stato immediato. Come nel teatro si è al servizio del film, e “in ascolto” di ciò che chiede il regista.

Cosa che gli è riuscita perfettamente anche con gli altri lavori con cui ha collaborato finora, non ultimo Miami Beach dei Vanzina.

È stato davvero importante conoscerli, una bellissima esperienza. Ascoltare i loro racconti, vedere come lavorano.

Quali pensa che siano i suoi punti di forza?

Credo che siano la mia ecletticità, il mio essere sempre pronto a lasciarmi stimolare e stupire.

Tra i compositori italiani quali i suoi punti di riferimento?

Sicuramente Ennio Morricone, Nino Rota, Fiorenzo Carpi, e tanti altri ancora, anche tra i più contemporanei… Se dovessi scegliere, penso Rota, per le sue sinfonie dal tocco classico di ampio respiro.

E tra le sue composizioni per il cinema?

Quelle per Noi e la Giulia, dove mi sono davvero sperimentato viaggiando tra i generi fino ad arrivare a comporre per la prima volta per una piccola orchestra di 17 elementi.

Un consiglio che si sente di dare al cinema italiano?

Di non investire solo nelle produzioni delle solite commedie, quelle leggere che non creano problemi. Ci sono stati film coraggiosi che hanno avuto tantissimi problemi produttivi, come Lo chiamavano Jeeg Robot: mi ha davvero stupito sapere che ne abbia avuto un film, che ha raccolto tantissimi premi e riconoscimenti di critica e pubblico. Quindi, un po’ di coraggio, che a prescindere dovrebbe appartenere alla nostra vita.