Occhi di ghiaccio, voce bassa, sorriso da predatore, fascino inquieto e talento camaleontico. Per il regista Steve McQueen (che lo ha rivelato in Hunger, 2008, e consacrato in Shame, 2011) “è l'interprete più influente della sua generazione”, per gli aspiranti attori un modello da imitare, per le donne un sogno che cammina. Per tutti gli altri è Fassbender, Michael Fassbender.
Dopo un anno di assenza dal grande schermo, l'attore trentaseienne dalla doppia nazionalità (sui cui scherza così: “La mia metà tedesca vorrebbe tenere tutto sotto controllo, mentre a quella irlandese piace far casino”), capace di muoversi in perfetto equilibrio fra blockbuster e cinema d'autore, torna nella nostre sale con due film destinati a far discutere. Nel primo, The Counselor – Il procuratore, diretto da Ridley Scott (che ha chiamato Michael anche in Prometheus, 2012) e scritto dal Premio Pulitzer Cormac McCarthy, interpreta un anonimo avvocato che precipita nell'inferno del narcotraffico, mentre nel secondo, 12 anni schiavo, guidato dal pigmalione McQueen, si cala nei panni del crudele schiavista Edwin Epps, nemesi del protagonista Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), violinista nero rapito nel 1841 a New York e rivenduto in Louisiana, dove sarebbe rimasto fino al 1853.
Non è la prima volta che Fassbender si mette al servizio di un personaggio disturbante, ma in quest'occasione, stando alle reazioni del pubblico statunitense, sembra essersi superato. Guai a chiedergli, però, come ci si sente a essere il cattivo. “Detesto quell'etichetta: è inutile. Se un attore parte pensando “Sono il cattivo” su cosa lavora? Epps è un razzista violento e, al tempo stesso, un essere umano terribilmente complesso. Si scopre innamorato di una delle sue schiave (Patsey/Lupita Nyong'o), il che è inaccettabile. Quindi si convince che, distruggendo lei, eliminerà anche quel sentimento.” McQueen ha detto di volere Fassbender pure nei prossimi film che realizzerà. Qual è la formula di un sodalizio artistico che la critica ha paragonato a quello fra Martin Scorsese e Robert De Niro? “Ci ispiriamo a vicenda: amiamo entrambi il rischio e non abbiamo paura dei fallimenti.”
In America, la stampa ha accolto le due pellicole in modo radicalmente opposto, affossando The Counselor (troppo brutale e nichilista) e portando sugli allori 12 anni schiavo, che i bookmaker danno favorito ai prossimi Oscar, soprattutto nella categoria attori. Tuttavia Fassbender, memore dell'estenuante campagna pubblicitaria di Shame (rivelatasi poi inutile, dato che l'Academy non scucì neanche una nomination), ha rifiutato di partecipare alla promozione del film. “Non ho intenzione di mettermi ancora una volta in quel tritacarne mediatico: sono un attore, non un politico. Piuttosto che stare seduto ad aspettare statuette, preferisco recitare”. Per evitare gli obblighi di gala durante la fatidica stagione dei premi, Michael ha pianificato con cura l'agenda: fino a gennaio in Nuova Zelanda a girare Slow West, debutto di John Maclean (che lo ha già diretto nei corti Man on a Motorcycle e Pitch Black Heist), e subito insidierà il trono di Scozia quale nuovo Macbeth. Le riprese del dramma shakespeariano gli hanno concesso comunque il tempo di presentare Frank (in programma al Sundance Film Festival) e dell'imminente tour per X-Men – Giorni di un futuro passato, dove condivide il ruolo di Magneto con Ian McKellen. Poi dovrebbe finalmente partire la lavorazione dell'attesissimo Assassin's Creed (tratto dall'omonimo videogioco, che vede Fassbender nella doppia veste di interprete e produttore) e, in autunno, è probabile il giro dei festival al seguito della pellicola (ancora senza titolo) di Terrence Malick.
Tutto questo senza considerare i progetti solo annunciati, come il sequel di Prometheus, il biografico Genius o il tanto sospirato Irish Myths sull'eroe celtico Cú Chulainn.
Mai un attimo di tregua per paura che qualche altro divo gli rubi il posto? “Lo ammetto, sono piuttosto competitivo, ma ai film mi approccio sempre con l'entusiasmo di un fan.”