E' stato un Gran Premio insolito ed emozionante, quello assegnato ieri sera a Torino a Carlo Mazzacurati, dopo la proiezione in anteprima mondiale, della Sedia della felicità. Grottesco, stralunato, seguito ideale della Lingua del Santo ma anche del delizioso La Passione. Anche qui c'è Giuseppe Battiston, pecorella smarrita (è un prete col vizio del videopoker), alla ricerca del tesoro nascosto, eredità di un famoso bandito italiano. Sulle tracce della refurtiva ci sono però un'estetista piena di debiti (Isabella Ragonese), ma i vizi non c'entrano: è la crisi che le impedisce di far quadrare i conti e un tatuatore sui generis, Valerio Mastandrea, che si ritrova coinvolto nella caccia senza un vero motivo. Abitato dai personaggi più cari a Mazzacurati, quei balordi, un po' perdenti ma sentimentali, come li ha descritti bene il direttore del festival Carlo Virzì, che gli ha consegnato il Premio insieme con la sua vice Emanuela Martini, nella commozione generale della sala gremita e del suo cast, partecipe e affettuoso. “Il Kaurismaki di Padova” lo ha chiamato Virzì, una definizione che calza a pennello per Mazzacurati, che nella sua lunga storia di regista ha sempre raccontato un Nordest composto da una bizzarra umanità, dove i cattivi sono dei poveracci come gli altri, le vittime un rimprovero per le nostre coscienze e gli eroi persone comuni, che diventano altro quasi per caso. Nella Sedia della felicità c'è tutto questo e qualcosa in più, perché racconta Mazzacurati: “Mi sono accorto, negli ultimi tempi, che la mia collezione di dvd si era assottigliata e che tra i trenta dvd che rivedo ci sono commedie, solo film che fanno ridere. Ho voluto aggiungerne uno mio, ma non so se ci sono riuscito. Mia madre non ha ancora capito di che parla, quale sia la storia”. E' davvero strampalato La sedia della felicità, ma alla maniera di Mazzacurati, con delle intuizioni surreali, e la comicità poetica che gli appartiene e che scalda il cuore dello spettatore.