“Vengo da una comunità olandese molto chiusa nel Michigan e ho avuto una rigida educazione calvinista. Non era consentito andare al cinema e non ho visto film fino al college, ma ho ascoltato molte storie. Il mio amore per il cinema è sbocciato con i film europei degli anni '60, Buñuel, Bertolucci, Bergman”. Così Paul Schrader ha parlato ieri della sua carriera cinematografica. Arrivato alla regia negli anni '70 dopo aver lavorato come sceneggiatore (Yakuza di Pollack, Taxi Driver, Toro scatenato, L'ultima tentazione di Cristo di Scorsese, solo per citare alcuni titoli) e critico, Schrader non pensava di fare il regista, ma dopo aver visto Un condannato a morte è fuggito di Bresson, capolavoro realizzato con poco, ho pensato che era possibile provare a fare film senza curarsi troppo del budget: alcuni li ho fatti con il monocolo, riportando una visione univoca del mondo, come Lo spacciatore. E' originale per il cinema americano vedere il mondo attraverso gli occhi di un unico personaggio, perché lo spettatore rimane ingabbiato nella sua visione arrivando ad identificarsi con personaggi indegni, come uno psicopatico o uno spacciatore. Si stabilisce così quell'empatia tra lo spettatore e il regista, che ritengo sia il maggior contributo che ho dato al cinema”.
Sulla recitazione degli attori, Schrader sottolinea: “Un qualsiasi regista durante le prove deve lasciare libero l'attore di giocare, deviare, improvvisare, ma sarebbe sciocco se lo permettesse sul set”.
Affascinato dalla cultura giapponese e dal regista Ozu (“Il mio fascino per il Giappone è iniziato quando mio fratello si trasferì a Kyoto per evitare la guerra. Sono attratto dagli elementi di costrizione della cultura orientale”) e attirato dal cinema ascetico (“Ho frequentato il seminario e studiato teologia, poi ho cominciato a vedere all'interno del cinema alcuni rituali religiosi”), Schrader pensa che l'epoca d'oro del cinema sia finita e che qualcosa di buono resta solamente in tv: “Se si ripercorre la storia del cinema si vede che il mondo è sempre meno il fattore trainante delle storie e raramente c'è un buon dialogo tra gli attori”. Sui suoi prossimi progetti: “ Vorrei fare un film holly-bolly con la pazienza indiana. Nel frattempo sto realizzando un film d'azione a basso budget con un eroe latino in contrapposizione allo stereotipo anglosassone tranquillo, alla Eastwood, un po' come hanno fatto i Coen con Non è un paese per vecchi”.