"Non è un documentario sulla possessione demoniaca,  ma un percorso di ricerca, un flusso di domande aperte nel quale mi sono immersa anche io".  Federica Di Giacomo mette gli incisi su Liberami, il documentario con cui gareggia a Venezia (sezione Orizzonti) e che rischia, per il tema che tratta - alcuni casi di possessione nel palermitano vengono presi in carica da un prete esorcista sui generis, Padre Cataldo, e da altri consacrati - di essere scambiato con certi "reportage" televisivi, tutti sensazionalismo e superstizione: "C'è una componente irrazionale e non potrebbe essere diversamente - ammette la Di Giacomo - ma va derubricata come mistero e come tale rispettata. Il ritorno dell'irrazionale, spesso associato a certe fenomenologie corporali, è tipico di questa epoca che ha perso molti dei suoi riferimenti ideologici. Non è un tema nuovo per me, perché già ne Il lato grottesco della vita raccontavi stati di trance religiosa in Marocco curati con la musica. Qui siamo però in una situazione diversa".

"Abbiamo varie tipologie di possessione, lo spettro è ampio e anche la Chiesa accetta una classificazione. Ma la cosa comune  a tutti questi disturbi  è la dissociazione da se stessi. Una dissociazione  che mi ha fatto pensare ad altre dissociazioni che esistono, a tutti gli stadi di alienazione che l'uomo moderno sperimenta, come quello di chi passa intere giornate al Bingo, o chi si perde tra i rave. La possessione certo ha caratteri culturali precisi, modelli di manifestazioni, alcuni riconducibili a un immaginario. Resta l'enigma di come sia possibile che queste persone entrino in questo stato solo quando entrano in contatto con la preghiera."

Il tentativo della Di Giacomo era quello di "evitare le strettoie che potevano falsificare il racconto in un senso o nell'altro: da una parte l'immaginario horror, dall'altra la narrazione grottesca che avrebbe rischiato di creare una distanza troppo grande. Da una parte un lavoro troppo schiacciato sulla sofferenza, dall'altra sullo scetticismo".

Liberami invece coglie "la dimensione quotidiana del fenomeno coMe quella che ci ha insegnato padre Cataldo: non volevo fare un doc di denuncia o di investigazione ma capire che cosa succede quando un esorcismo entra nel nostro bioritmo. E' qualcosa che ha a che fare più con la malattia, la cura, la ricerca della cura che può diventare più ossessiva della malattia stessa. Veniamo da un periodo storico difficile, abbiamo bisogno di qualcuno che ci curi, oltre le pastoie della psicologia, che non risolve tutto".

Un lavoro che ha richiesto "un'osservazione continua, prolungata nel tempo, la lavorazione è durata tre anni: ci ha aiutato a posizionarci, a capire con che cosa avevamo a che fare. Poi ho iniziato a vivere con loro, mentre scrivevo per focalizzarmi sulle cose che volevo emergessero".

Un lavoro" edificante, umanemente arricchente, come lo sono tutti quelli che ti portano a interrogarti sul senso delle cose, sulla fede. Con padre Cataldo è nato un rapporto, ci sentiamo ogni due giorni."

I posseduti? "Sento anche loro. Alcuni hanno riscontrato un miglioramento molto importante, altri stanno ancora lottando, ma la liberazione è una questione aperta: queste persone avranno sempre una sensibilità particolare, un modo particolare di reagire quando si trovano in prossimità di una chiesa. La verità è che non ci si libera mai veramente dal male. E' possibile, dopotutto?"