“Un progetto inusuale per l'Italia, è il film che preferisco di più tra quelli che ho fatto, perché sono uscito dal guscio di sicurezza. Dobbiamo provare a pensare l'Europa in modo culturale, non solo per la Merkel e lo spread”. Così il regista Gabriele Salvatores presenta Educazione siberiana, tratto dal bestseller di Nicolai Lilin (Einaudi), prodotto da Cattleya e Rai Cinema e dal 28 febbraio nelle nostre sale con 01 Distribution in 350 copie.
Ambientato tra i criminali onesti siberiani guidati da nonno Kuzja (John Malkovich) e i loro ferrei rituali, il film segue tra 1985 e 1995 le vicende di Kolima (Arnas Fedaravicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius), due giovani amici che però prenderanno strade diverse rispetto alla tradizione e l'avvento della globalizzazione con la caduta del Muro di Berlino.
Se Salvatores, già insignito dall'Academy per Mediterraneo, alla vigilia della consegna delle celebri statuette toglie un po' d'oro: “L'Oscar è un premio dell'industria Usa, non è quello a cui mirare”, lo scrittore Lilin interviene sul rapporto tra Storia e romanzo: “I fatti realmente accaduti hanno poca rilevanza con quel che c'è nel film: non mi importava un approccio storico-realistico, ma le storie umane. E il film è la revisione di una revisione letteraria: una storia universale, oggi potrebbe accadere in Medio Oriente”.
Educazione siberiana era dato in predicato per il festival di Berlino, ma così non è stato: “A differenza de La migliore offerta di Tornatore (inserito in Berlinale special, NdR), puntavamo al concorso, e ci sarei andato volentieri”, dice il regista, mentre Marco Chimenz di Cattleya sottolinea come “non sia essenziale andare in competizione, ricordiamoci di Cesare deve morire, il cui Orso d'Oro purtroppo non ha avuto impatto in Italia e nel mondo”. Budget di 9 milioni di euro, vendite perfezionate o da perfezionare in Usa, Canada ed Europa, il film è stato scritto da Sandro Petraglia e Stefano Rulli, che illumina sulla traduzione dalla carta allo schermo del romanzo: “Difficile individuare una linea narrativa, noi abbiamo dato più spazio al personaggio di Gagarin per intercettare qualcosa di più universale: la crisi di senso dopo la fine delle ideologie. Kolima è attaccato a radici e tradizioni, Gagarin rompe, ha una modernità laica basata sulla ricerca del denaro: il loro è un conflitto tragico, nella parzialità non c'è soluzione”.
Se Malkovich dei tanti tatuaggi del suo nonno Kuzja dice che “raccontano molto del personaggio, come un costume: è la prima cosa che vedi”, Salvatores parla dei suoi giovani protagonisti, osservando come “sia un'età cruciale: in Italia muoiono soprattutto donne e giovani, vuol dire cancellare il futuro. Sarei per la pena di morte per chi uccide i bambini, ma qui per fortuna porto l'idea di due ragazzi che si inventano il futuro”. 
L'ispirazione a C'era un volta in America ci può stare - “Sergio Leone è uno dei miei registi preferiti e il suo montatore Nino Baragli è stato il mio maestro”- e, infine, Salvatores, Malkovich e il resto del cast concordano sulla battuta del film da fare propria: “Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare!”. “Se la seguissimo, mai come ora vivremmo meglio”, conclude Salvatores.