“Non potevo raccontare solo il tennis, dovevo andare oltre. Ho analizzato i comportamenti, le loro personalità, per regalare al pubblico una visione completa di queste due leggende. Qual era il loro sogno? Cosa spinge due uomini verso la grandezza? Semplicemente Borg contro McEnroe”. Il regista Janus Metz presenta Borg McEnroe alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Il film uscirà nelle sale italiane giovedì 9 novembre, distribuito da Lucky Red.

Ice contro Fire, il biondo contro il moro, lo svedese contro l’americano, il rigore contro la passione: questi erano Björn Rune Borg e John Patrick McEnroe Jr. Dalla terra rossa del Roland Garros all’erba di Wimbledon, hanno duellato ben quattordici volte, con un risultato equo di sette vittorie a testa. “In realtà erano più simili di quanto non si potesse immaginare. Condividevano lo stesso dolore esistenziale. Da ragazzo, Borg provava la stessa rabbia di McEnroe, ma nel tempo ha imparato a controllarsi”.

Borg, il semisconosciuto Svennir Gudnason nel film, ha l’aria del freddo calcolatore, cresciuto nel rispetto delle regole e con l’ambizione di scrivere il suo nome nel firmamento. È stato tra i primi ad usare il top spin, la rotazione del polso oggi indispensabile, e per colpire di rovescio preferiva le due mani, considerate poco eleganti a fine anni Settanta. La linea di fondo campo era il suo territorio e difficilmente scendeva a rete. La sua espressione glaciale lo ha trasformato in un divo, che ha avuto l’intelligenza di ritirarsi mentre era ancora al vertice.

Se Borg era l’acqua santa, McEnroe era un diavolo in calzoncini. Più volte ha attaccato l’arbitro sull’erba e i giornalisti in conferenza stampa. Il suo carattere ribelle e vulcanico lo ha trasformato nel bad boy sempre a rete, pronto a punire con una volèe o uno smash definitivo. Tra i più grandi giocatori di doppio mai esistiti, in Borg McEnroe ha i tratti di Shia LaBeouf, bizzarro al punto giusto per essere credibile. Nella sua carriera McEnroe si è aggiudicato sette titoli in singolo del Grande Slam, nove in doppio e uno nel misto. È stato numero uno al mondo per quattro anni consecutivi, dal 1981 al 1984, e per quattro volte ha alzato l’Insalatiera (la Coppa Davis). Numeri da capogiro, che alimentano una verità ormai diventata leggenda.

“A Wimbledon due culture diverse si sfidano tra le urla del pubblico. Nella società americana degli anni Settanta, capitalista nell’anima, il successo arrivava tramite l’individualismo. Invece in Svezia l’omologazione era l’ingrediente più importante. Tutti dovevano essere uguali. Per entrambi vincere non era solo necessario, ma era una questione di vita o di morte. Vanno in scena la mascolinità e l’agonismo”, aggiunge Metz.

Borg McEnroe è una produzione svedese, che punta l’obiettivo su Borg e lascia lo statunitense sullo sfondo. In patria il titolo è solo Borg, per sottolineare l’importanza del biopic. I due si sono scontrati per la prima volta nel 1978 a Stoccolma, quando lo scandinavo era già sugli scudi e l’esuberante talento a stelle a strisce era un esordiente di belle speranze.

Nel film, l’intera storia abbraccia l’indimenticabile finale del 1980 a Wimbledon, che per molti rimane il momento più alto dalla nascita di questo sport. Borg dominava su Wimbledon da quattro anni di fila e McEnroe voleva interrompere quella straordinaria striscia positiva. Cinque set, un tie break infinito e un risultato indimenticabile. “Il tennis è una danza. Abbiamo usato molti stuntman, ma Shia e Svennir hanno lavorato sodo per sei mesi. Hanno imparato le mosse e le espressioni, per rendere autentico ogni momento. Poi abbiamo inserito le palline e lo stadio con gli effetti speciali. È stata un’esperienza indimenticabile, che ci ha permesso di trasformare il mito in realtà”.