“Prendere uno sconosciuto, dargli un nome e una storia, e riprenderlo attraverso la forma del cinema. Ecco, dare nome e storia risponde già alla domanda su quale sia la mia posizione sui  migranti, che per definizione sono anonimi…”. Parola di Jacques Audiard, che porta nelle nostre sale, il 22 ottobre con BIM, il suo ultimo film, Dheepan, Palma d’Oro all’ultimo festival di Cannes.

Protagonista un ex Tigre Tamil, Dheepan (Antonythasan Jesuthasan), che per salvarsi deve inventarsi la famiglia che non ha: i passaporti recuperati per lasciare lo Sri Lanka esigono una donna (Kalieaswari Srinivasan) e una bambina di 9 anni (Claudine Vinasithamby), i tre partono per la Francia, dove vanno a vivere in una banlieue. Dheepan ripercorre in parte la storia di Antonythasan Jesuthasan, arruolato a 16 anni dalle Tigri Tamil: ragazzo soldato suo malgrado, dopo la fuga è riuscito a raggiungere la Francia nel 1993, ottenendo poi l’asilo politico. Dopo tanti lavori, oggi fa lo scrittore: “Quando si ingaggia un attore che non lo è, una persona tende a pensare di essere stata scelta per quello che è in realtà, dunque, gran parte del mio lavoro con “Antony” è stato dirgli che non era lui il personaggio, e quindi avvicinarlo progressivamente a Dheepan, affinché lo incarnasse. Un lavoro senza pretese sociologiche, fatto solo correggendo la postura, comportamento, voce e gestualità”.

Dheepan
Dheepan
Dheepan
Dheepan

Sull’epilogo del film, Audiard precisa: “Non è la famiglia che salva, ma l’amore” e sulla destinazione inglese aggiunge: “Ci sono state polemiche, voglio ribadire che l’Inghilterra non è la terra dell’accoglienza. La mia è un Inghilterra di finzione, tanto che ho girato quella sequenza in India…”.  Deephan si trasformerà in giustiziere, rivelando i trascorsi da guerriero: “Nella nostra ricchezza, non ci rendiamo conto della situazione assolutamente infernale dei migranti: si sono salvati la pelle e a quale prezzo? Non lo capiremo mai”. E aggiunge: “Che fanno della violenza, perpetrata o subita, dentro di sé? Non mi interessa il film sui vigilantes, ma ho voluto inserirlo perché quest’uomo che vediamo vendere le rose con i pupazzetti in testa ha una violenza che ritorna su, ritorna in superficie: Freud ne parlava, nevorsi o psicosi che sia, al violenza torna”.

Sulle analogie tra Dheepan e i precedenti Il profeta e Un sapore di ruggine e ossa, Audiard osserva: “Dheepan può sembrare una sintesi dei due, e in una certa misura lo è, ma più che un fattore positivo è stato un impedimento per la realizzazione. Per Ruggine avevo costruito una sceneggiatura molto scritta, fabbricata e chiusa: ne avevo apprezzato le virtù, ma anche i limiti. Con gli sceneggiatori Noé Debré e Thomas Bidegain, stavolta abbiamo optato per un copione meno scritto,c on più cose da sviluppare sul set: una scelta oltremodo azzeccata perché noi e gli attori non si parlava la stessa lingua”.

Con la vittoria a Cannes, a spese dei nostri Garrone, Moretti e Sorrentino, Audiard s’è “inimicato” l’Italia, ma non si scompone: “Perché pensate che i francesi siano contenti che abbia vinto la Palma? Che dire, c’est Cannes: quando presi il Grand Prix per Il profeta in conferenza stampa mi chiesero subito se fossi deluso per la mancata vittoria, stavolta vorrebbero mi vergognassi perché non l’ho meritata”. Sui nuovi progetti, infine, il regista conferma di avere in cantiere l’adattamento di The Sisters Brothers dal romanzo del canadese Patrick deWitt, “ma oggi tutti fanno western, non so se è il caso di realizzare questo film”.