"Basta aprire il giornale per vedere chi è Patò: la sola differenza tra i Patò di ieri e quelli di oggi è che quest'ultimi fanno l'imbroglio e non scompaiono". Così Andrea Camilleri, che dal 24 febbraio arriva in sala con la trasposizione cinematografica del suo romanzo, La scomparsa di Patò, diretto dal genero dello scrittore, Rocco Mortelliti. E' uno spaccato dell'Italia poco dopo l'Unità, ma potrebbe essere l'Italia di oggi, sempre gattopardesca nel cambiare perché "tutto rimanga come è".
Siamo a Vigata 1890, Venerdì Santo, durante la rappresentazione del “Mortorio” ovvero la Passione di Cristo, il ragionier Antonio Patò (Neri Marcorè), integerrimo direttore della Filiale della Banca di Trinacria, nipote illustre e marito “casa e chiesa”, nei panni di Giuda, cade come da copione nel sottopalco e scompare. Ernesto Bellavia (Maurizio Casagrande) e Paolo Giummaro (Nino Frassica), rispettivamente delegato di Pubblica Sicurezza e maresciallo dei Carabinieri, tentano di risolvere il misterioso caso di sparizione.
"Quando usci il libro - ricorda Camilleri - Rocco se ne innamorò. Io ci ho messo mano pochissimo. Il racconto è strutturato come un dossier. L'autore consegna al lettore i documenti e dice fatti il tuo romanzo. Rocco ci ha fatto un film". Lo ha realizzato a quattro mani con Maurizio Nichetti restando fedele al linguaggio dialettale in pieno stile Camilleri e affidandolo alla coppia comica Frassica/Casagrande. Il primo, siciliano doc, si è sentito vero recitando nel suo dialetto, l'altro, napoletano, scelto per la parte del delegato perché, dice l'interprete, "fosse uno del nord, di Napoli, che osserva con l'occhio critico dello straniero e dello spettatore".
Nel film anche Alessandra Mortelliti, figlia del regista e nipote prediletta dello scrittore, moglie dello scomparso Patò, che ammette di aver "provato subito antipatia per questa signora che si preferisce vedova piuttosto che cornuta, come ancora oggi accade". E un riferimento all'attualità non manca nemmeno nelle parole di Neri Marcorè, elogiato per la sua abilità nell'imitare i dialetti: "I Patò di oggi guidano le navi e fanno politica. Una volta non c'erano internet e Chi l'ha visto?, oggi è più difficile sparire, ti ritrovano e ti tocca tornare. Patò rappresenta l'emblema dell'Italia contemporanea dove si fa ancora fatica a trovare i responsabili in qualunque situazione". Dietro l'intera vicenda "la supponenza e la stupidità del potere che vuole che un fatto sia visto coi suoi occhi e quando due poveracci di subordinati rischiano la carriera se ne cavano fuori con un escamotage che solo una furberia meridionale sa tirare fuori al momento opportuno".