Nessuno come lui, nessuno come Pier Paolo Pasolini. Anche altri, da Rossellini a Fellini, sono divenuti aggettivo, solo PPP è divenuto linguaggio: dire ancora oggi “pasoliniano” non è attributo di stile, ma combinazione e selezione poetica, perché PPP ci ha lasciato i segni per dire del mondo e al mondo in nuova forma poetica e sostanza umana, umanissima.

Pier Paolo Pasolini

Milano ricorda

“Settimane Pasolini”. Per il 40° anniversario della morte di PPP, il Centro Culturale di Milano e la Galleria Giovanni Bonelli presentano la mostra “Pasolini, il poeta che sfidò il nulla”: documenti inediti, videointerviste realizzate oggi da giovani universitari a personaggi pubblici quali Paolo Mieli, Massimo Recalcati, Giulio Sapelli, Massimo Borghesi, Antonio Polito, Mario Martone, Anna Maria Cascetta, Carlin Petrini, Luca Doninelli; opere fotografiche di Elio Ciol e le opere dei maestri dell’arte del secondo novecento amati da PPP, Rosai, De Pisis, Guttuso, Mafai; letture teatrali e testimonianze. Da oggi 28 ottobre al 14 novembre in via Carlo Farini, 6, in programma anche le proiezioni di Accattone, Il Vangelo secondo Matteo e Uccellacci e uccellini.

PPP ci ha lasciato un alfabeto, e ci chiede 40 anni dopo il 2 novembre della sua morte di trovare le prove al suo “Io so”: la sua eredità tracima dal biopic, si veda quello stentato di Abel Ferrara (Pasolini) e, addirittura, si fa rimpiangere (Non essere cattivo di Caligari), trova un ubi consistam di stretta osservanza (Su Re di  Giovanni Columbu) e ci esorta – intervento al congresso del Partito Radicale, previsto l’indomani della sua morte – a “continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare”. Lui, laddove c’era Cristo, l’ha fatto.

Ha fatto di Cristo il povero Cristo che è, e non altrimenti. Già ne La ricotta, episodio del collettivo Ro.Go.Pa.G (1963), marcava la propria distanza dal coevo Vangelo hollywoodiano e realizzava un'opera di barocca vitalità in cui Gesù è un sotto-proletario costretto quotidianamente a dialogare con fame e disperazione. PPP utilizza la drammaturgia del film sul cinema per calare questo inconsapevole dramma umano nella cornice di un film estetizzante sulla Passione di Cristo: le stupende immagini a colori della Deposizione citano esplicitamente il Pontormo e Rosso Fiorentino, ma a differenza dell'acquiescenza zeffirelliana l'approccio rivela una tensione dialettica straordinaria. Nel sottoproletario Stracci inchiodato sulla Croce (e morto per indigestione) convivono i due versanti del perdono: come buon ladrone fittizio è colui che chiede perdono, come martire nell'indifferenza generale diviene colui che perdona, mimesi imperfetta dell'exemplum cristico.

Condannato dallo Stato italiano per vilipendio alla religione, Pasolini ritorna sull'argomento l'anno successivo firmando il più bel film tratto dai sinottici, ovvero il Vangelo secondo Matteo. Recuperando scandalo e bellezza del messaggio evangelico, lo contestualizza nel Sud d'Italia tra gli sguardi trasparenti di attori non professionisti, alternando modalità espressive (macchina a mano e rimandi alti alla pittura quattrocentesca) e soffermandosi laicamente sugli aspetti più disturbanti e crudi del sacro, dall'incontro con i lebbrosi alla crocefissione. Entrando da “profano” nel sacro, PPP profana consapevolmente la tradizione cinematografica della vita di Cristo, ripulendola dagli abbellimenti edificanti e sfrondandola dall'iconografia devozionistica.