“Mi piaceva l'idea di raccontare la periferia dell'animo umano nel centro della capitale italiana. Volevo rompere l'immagine da cartolina che conosciamo e far emergere le sue ombre” dice il regista Alessandro Piva, quarantenne, di Bari, trasferitosi da anni a Roma, dove ha ambientato il suo Henry, liberamente tratto all'omonimo romanzo di Giovanni Mastrangelo, (2006), fotoreporter, africano di adozione, già autore del Piccolo Buddha (1992) che ispirò il film di Bernardo Bertolucci.
“Giovanni Mastrangelo mi fece leggere il suo libro - racconta il regista - mi disse che riconosceva l'influenza dei miei film nella sua scrittura e mi è sembrata una buona occasione per raccontare una Roma che ci fa sentire soli pur vivendo tutti insieme”. Henry, in sala dal 2 marzo, Premio del pubblico al Torino Film Festival 2010, è il terzo lungometraggio del regista pugliese dopo LaCapaGira, vincitore ai David di Donatello (2000) e Mio Cognato, tre cadidature a Nastri d'argento (2004), con Luigi Lo Cascio e Sergio Rubini.
Sullo sfondo di una Roma dal volto meticcio, randagio, intreccio di dialetti, tre giorni di delitti, fughe e sentimenti consumati in un angolo. L'omicidio di un pusher che fa il doppio gioco acquistando l'eroina (detta “Henry”) sia da un clan di camorristi sia da una nuova banda di africani scatena una guerra tra spacciatori. Coinvolti nella vicenda, sulla quale indagano due poliziotti (il commissario Silvestri, Claudio Gioé e l'ispettore Bellucci, Paolo Sassanelli), una coppia di fidanzati – lei (Carolina Crescentini) insegnate d'aerobica, lui (Michele Riondino) perdigiorno – e un ex fotografo tossicodipendente (Pietro De Silva). Il film è specchio dell'attualità: si apre con un omicidio a Torpignattara, zona tristemente famosa della capitale. “Sono impressionato dai fatti di cronaca recenti – ammette Piva – a volte è questione di coincidenze: l'arma del delitto nel nostro film, una miniatura del Colosseo, è stata decisa prima che un Duomo colpisse l'ex-presidente sulla capoccia”.
Un commissario “rosso” , di capelli e di sinistra, quello interpretato da Claudio Gioè: “Ho corteggiato il progetto per tanto tempo, perchè è un prodotto cinematografico che strizza l'occhio all'improvvisazione teatrale e consente un approccio da interprete molto divertente”. Simbolo di una polizia non sempre corretta è, invece, l'ispettore Bellucci, come ammette lo stesso Paolo Sassanelli: “Conosco molti poliziotti che si ammazzano di lavoro e quel poco che guadagnano gli serve per pagare il mutuo. Noi veniano tutti da Bari, dove la polizia è in parte collusa con i clan. A volte la cocaina puo aiutare a  tenerti sveglio e forse è necessario raccontarlo. Io ero perfetto per questa parte, anche se di solito mi fanno fare il medico gay”. Tutti personaggi dai complicati tratti psicologici che Michele Riondino definisce “fumettistici, perché hanno delle linee doppie in cui bene e male si confondono, anche la droga non è criminalizzata, si criminalizza tutto ciò che sta intorno: i buoni non sono mai solo buoni e si mischiano con i cattivi”.
Attori a paga sindacale, mancanza di fondi, il film ha incontrato non poche difficoltà, tanto che Piva ha scelto di esserne anche il produttore: “Mi interessa raccontare dei pezzi di realtà che spesso non incontrano l'interesse del mercato. Nel momento in cui il cinema è diventato un costosissimo hobby bisogna farselo da soli, anche se è dura dopo i trent'anni”. L'uscita nelle sale di Henry è stata rimandata per due anni, ma poi ha riscosso l'entusiasmo della Iris Film, che quest'anno ha puntato molto sui film di genere distribuendo anche un altro noir made in Italy, Sulla strada di casa di Emiliano Corapi.