“Non si può imitare Bresson, si può solo capire la sua lezione. L’uomo deve essere il centro di ogni riflessione”. Si affida alle parole di Truffaut, il regista Gianni Amelio, a cui la Fondazione Ente dello Spettacolo, con il patrocinio della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede e del Pontificio Consiglio della Cultura, ha conferito quest'oggi il Premio Bresson.  La cerimonia si è svolta nella Sala Tropicana 1 dell’Hotel Excelsior al Lido di Venezia.

Foto Karen Di Paola

Tiziana Ferrario, giornalista del Tg1 spiega che: “Il Bresson è stato istituito nel Duemila e viene assegnato a un regista che, con la sua opera, ha sempre cercato di interrogarsi sul significato della nostra esistenza”.  Tra gli italiani, lo hanno vinto Giuseppe Tornatore e Carlo Verdone.

Mons. Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo ha letto la motivazione, di cui riportiamo un estratto: “Per il costante impegno artistico alla ricerca di un nuovo umanesimo. Il cinema di Amelio non ignora le ombre, gli interstizi, i drammi interiori la ricerca di una im/possibile felicità o almeno della tenerezza, del sorriso talora riluttante del divino, della quiete a cui approdare dopo il naufragio. Amelio è l’erede legittimo della vena aurea di Bresson, scandita dalle piccole cose nei grandi orizzonti”.

Milani, Barbera, D'Ercole e Amelio

Amelio inizia citando la celebre battuta finale di Un condannato a morte è fuggito: “Se mi vedesse mia madre”. Prosegue: “Mia madre era la mia più grande sostenitrice. Un giorno mi diede un grande schiaffo, perché le avevo detto di voler vendere le mie riviste di cinema. Dovevo dare un esame e non avevo i soldi per sostenerlo. Mi disse che non mi dovevo permettere, perché non bisogna mai separarsi dalle cose che si amano. L’università, la laurea e il pezzo di carta sono sempre inferiori alla passione, e la mia era il cinema”.

Questa passione è condivisa da Paolo Baratta, presidente della Biennale: “Il cinema è un’arte vitale, e noi dobbiamo creare la condizione per farla esprimere. Qui parliamo di quell’arte che tratta della dimensione umana”.

È presente anche Alberto Barbera, direttore artistico della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: “Conosco Gianni da una vita e mi sento più un suo amico che un critico cinematografico. Sono rimasto colpito fin dal primo momento dai suoi film, ha realizzato dei capolavori assoluti”.

Tiziana Ferrario e Alberto Barbera

Gianni Amelio è venuto qui, a Venezia, per presentare il suo nuovo cortometraggio Case d’Altri, che racconta del terribile dramma che ha colpito Amatrice: “Con questo mio ultimo lavoro, voglio invitare a comprendere cosa è successo, per poi assumerci le nostre responsabilità. Dobbiamo confrontarci con la tragedia. Non dobbiamo continuare a piangere, dobbiamo impedire che si pianga ancora. Mi chiedo dove siano adesso coloro che hanno concesso la licenza di costruire le case di Ischia, quelle sotto al Vesuvio o all’Etna sapendo che il rischio è altissimo. Non dobbiamo vedere un’altra Amatrice”.

Giovanni D’Ercole, Vescovo di Ascoli Piceno e presidente della Commissione Episcopale per le Comunicazioni Sociali della CEI (Conferenza Episcopale Italiana), al momento della consegna del premio ad Amelio, tornando sul dramma del terremoto, dichiara: “Dobbiamo costruire nel rispetto delle leggi. Oggi la gente nasce con questa consapevolezza. È una coscienza nuova che mette il futuro nelle nostre mani. Io sono un padre, e ho vissuto la disperazione dei miei fedeli. L’unico conforto che potevo dar loro, in quel disastro, era un abbraccio. Abbiamo pianto le stesse lacrime”.