In principio (della crisi) furono Giorni e nuvole e, con i toni della commedia, Generazione mille euro. Negli Stati Uniti si iniziò con Tra le nuvole, per arrivare a film sul mondo finanziario, in cui districarsi tra tecnicismi diventava arduo; mentre in Europa, soprattutto la Francia produceva diverse opere sul tema. Il tema della crisi e del lavoro, appunto.

Sono trascorsi otto anni, in cui il cinema mondiale ha cercato di affrontare la realtà, a volte riuscendo a descriverla, altre volte restando ai margini. Spesso si è rifugiato nei generi, evitando l’argomento. Che invece, specialmente nell’ultimo biennio, è tornato ad essere centrale: a partire dai francesi, che addirittura a Cannes 2015 hanno presentato in gran parte film incentrati sul tema. Uno in particolare, La loi du marchèe, ha attirato l’attenzione, anche per il premio vinto dal protagonista Vincent Lindon. Prima ancora, i belgi Dardenne avevano riproposto il problema, nella sfaccettatura forse meno evidenziata dalle cronache, ovvero l’avanzare degli egoismi, la “guerra tra poveri” e la crisi di valori e solidarietà, con Due giorni, una notte, interpretato da Marion Cotillard.

Ma la passata stagione e la prossima sono quelle che segnano soprattutto il “risveglio” (da un sonno non profondissimo, comunque) della cinematografia italiana rispetto a questo argomento, tra documentari e film dedicati a lavoro e crisi. E non sempre trattati attraverso toni drammatici, ma anzi mostrando una rinnovata capacità di affrontare la realtà per mezzo della commedia. Una commedia diversa, ancora possibile: i due esempi maggiori sono gli exploit più significativi del 2014-2015, Smetto quando voglio, di cui il regista Sidney Sibilia sta girando il sequel, e Noi e la Giulia. In particolare, nel film di Edoardo Leo si evidenzia anche un rinnovato legame con il territorio, che non è proprio soltanto della commedia, ma più in generale di tutto il cinema italiano. Lo dimostra un altro successo: In grazia di Dio, di Edoardo Winspeare, offre uno sguardo differente, partendo dal sud e dalla riscoperta delle radici come strumento per superare la crisi stessa.

Dramma e comicità si alternano, dicevamo, nelle produzioni italiane: da Piccola patria, Fuorigioco, Patria, a Virzì (che già nel 2008 aveva affrontato il tema con Tutta la vita davanti) che con Il capitale umano punta i riflettori più in generale sul mondo di oggi, a L’intrepido di Gianni Amelio, ai documentari come Let’s go di Antonella De Lillo, fino alla commedia surreale ed intelligente di Ficarra e Picone, con Andiamo a quel paese. Ancora sud (la Basilicata, già set di Noi e la Giulia) per il corto vincitore del David di Donatello, Thriller, in cui il sogno di un giovane incontra la realtà della lotta degli operai.

Guardando poi alla prossima stagione, è stato presentato in anteprima al Festival di Pesaro il nuovo film di Peter Marcias, La nostra quarantena, che tratta l’argomento da un punto di vista inedito, ovvero quello di un gruppo di lavoratori marocchini che presidiano una nave per difendere posto e salario. E ancora (solo per citare qualche titolo): la “tragicommedia” di Massimiliano Bruno, Gli ultimi saranno gli ultimi, vede Paola Cortellesi (che aveva recentemente già affrontato il tema lavoro in Scusate se esisto) nei panni di una precaria; 7 minuti, il film che Michele Placido inizierà a girare a novembre, con Cristiana Capotondi e Ottavia Piccolo, sulla storia di 11 operaie, ispirata al testo di Stefano Massini; La felicità è un sistema complesso, con Valerio Mastrandrea e Giuseppe Battiston, in cui Gianni Zanasi tratta l’argomento della delocalizzazione delle aziende; Storie sospese di Stefano Chiantini.

Ed anche Checco Zalone, in Quo vado?, parlerà di licenziamenti e crisi: decisamente un tema da cui non si può prescindere.