“Sono stati anni cruciali della mia vita, quelli. Che avrei voluto raccontare già allora, ma ero solo un giovane montatore e non me la sono sentita. Ho fatto parte anche io come militante dell’associazione Act-Up Paris e, come accade alla fine del film, ho dovuto vestire per il funerale un caro amico morto di AIDS. Quello che si racconta nel film, seppur attraverso il filtro della finzione, è tutto ispirato a fatti realmente accaduti”.

Robin Campillo presenta al 70° Festival di Cannes – in concorso – 120 battements par minute (120 battiti al minuto, acquistato per l’Italia da Teodora) e ci riporta alla Francia degli anni ’90, quelli dell’AIDS e degli attivisti di Act-Up Paris, associazione nata nel 1989 sulla scia dell’originale americano, che moltiplicano le azioni di dimostrazione e ribellione contro il silenzio e l’indifferenza generale.

Gli anni ’90 di Sean (Nahuel Perez Biscayart), Nathan (Arnaud Valois), Sophie (Adèle Haenel), Thibault (Antoine Reinartz), che mettono nel mirino le aziende farmaceutiche, colpevoli di non rendere disponibili ai malati le cure necessarie contro l’HIV, e la refrattarietà di un’intera società a fare qualcosa.

“Volevo che la storia di mutua solidarietà di questi giovani, costretti a vivere in un periodo in cui ogni giorno di vita era prezioso perché l’epidemia dell’AIDS era violentissima, diventasse per lo sguardo dei ragazzi di oggi una vera e propria storia d’amicizia, di fraternità ed uguglianza”, dice ancora il regista, che conclude: “Quelli sono stati anni di rabbia, perché la speranza scemava di fronte all’indifferenza generale, che ti lasciava morire: Act-Up, da questo punto di vista e a differenza di molte altre associazioni, è stato un vero e proprio movimento politico, il collettivo di lotta di una minoranza”.