Fosse riuscito, gli americani avrebbero parlato di film bigger than life. Definizione che avrebbe corrisposto le intenzioni di Giuseppe Tornatore, tornato a fare il Tornatore dopo la parentesi thriller de La sconosciuta. I mezzi a disposizione - ufficialmente 25 milioni di euro - lo consentivano, il progetto semi-biografico era accarezzato da una vita, il cast radunava - ma è un pregio? - una teoria di stelle tricolori, nonché due protagonisti esordienti (bravo Francesco Scianna, mediocre Margareth Madè), perché le ambizioni da Nuovo Cinema Paradiso in scala kolossal fossero peregrine.
Ma tra carta e schermo, a volte, si apre l'abisso, quello che inghiotte la famiglia bagheriota dei Torrenuova: 70 anni, per un affresco corale sulla storia, in cui la memoria tradisce se stessa, con “braccia troppo corte”, quelle dei Torrenuova, e occhi troppo ingenui, quelli di Tornatore, per afferrare la Storia e il Cinema.
A terra rimangono gli stereotipi “scambiati” per ricordi, la ricostruzione inadempiente perché repressa in 150' - non è ironia - e in testa una tremenda constatazione: che il kolossal non faccia più parte del nostro repertorio. Non solo produttivamente, ma artisticamente: perché da questa Porta del vento entrano solo spifferi fastidiosi. 
Molto probabile candidato italiano agli Oscar, Baaria esce oggi in sala, dopo l'anteprima in concorso a Venezia, distribuito da Medusa in circa 500 copie.