Da ladro a eroe di borgata. In sala dal 25 febbraio Lo chiamavano Jeeg Robot, prodotto da Rai Cinema e Goon Film, distribuito da Lucky Red inizialmente in 200 copie. "Io ho fatto un buon film", afferma Gabriele Mainetti in conferenza stampa. Dopo il grande successo riscosso alla 10. Festa del Cinema di Roma, arriva in sala un film italiano diverso, originale, che contiene al suo interno più generi, dal neorealismo al pop.

Dal cortometraggio Tiger Boy al lungometraggio Lo chiamavano Jeeg Robot. Due storie abbastanza forti raccontate dalla regia di Gabriele Mainetti. “Questo universo nasce dalla collaborazione con Nicola Guaglianone che ha scritto il soggetto – continua il regista –. È autore di Tiger Boy così come di Lo chiamavano Jeeg Robot (insieme a Roberto Marchionni “Menotti”, ndr). A tutti noi Bim bum bam ha fatto da guida e dopo tanti studi di cinema abbiamo dovuto dire la nostra. Siamo andati a pescare quel periodo che ci emozionava nel profondo, quello di Lupin e Tiger Man”.

In Lo chiamavano Jeeg Robot un ladro diventa buono e l’altro resta cattivo. Interpretati rispettivamente da Claudio Santamaria e Luca Marinelli. Entrambi supereroi ma senza la classica tutina. Santamaria ha lavorato sul suo aspetto, aumentando il peso di 20 kg. “Gabriele voleva che questo personaggio fosse piazzato – dichiara l’attore –. Un orso. Voleva un personaggio presente, fermo, pesante. Per prepararmi alla parte mi ha mandato un video di un orso e il film di Annaud. Voleva a tutti i costi che Enzo Ceccotti somigliasse a un orso. Abbiamo fatto un lavoro non solo fisico ma anche nel modo di parlare, molto sintetico e coatto. Enzo si considera un nulla, un niente, e sopravvive con piccoli furti aspettando il momento di morire, dandosi piacere con film porno e mangiando budini alla vaniglia”.

Mentre Luca Marinelli, reduce da un altro grande film, Non essere cattivo di Claudio Caligari, ha creato un personaggio a prima vista simile a Joker. “In realtà sì e no – scherza l’attore –. C’è stata una costruzione precisa di questo personaggio. Io ho incontrato il cinema per la prima volta all’età di sette anni quando ho visto Il silenzio degli innocenti, dove si vedeva un personaggio cattivo e problematico che mi affascinava. Quando Gabriele Mainetti mi ha detto di riguardare quel film, mi è sembrato un po’ di stare a casa. La mia è stata una sensazione di divertimento e per questo ho reso lo zingaro più divertente, anche se Gabriele mi dice di stare attento perché è un personaggio che ha un problema molto grande”.

Definito un film di genere, Lo chiamavano Jeeg Robot in realtà ne mescola diversi e riesce a conquistare il suo spazio. Una novità italiana? “Manca uno storico in Italia. Infatti, il supereroe nasce nell’ultimissima inquadratura di questo film – aggiunge Mainetti –. C’è un percorso catartico che il protagonista deve affrontare e io mi sono mosso in punta di piedi… Credo che abbiamo costruito dei personaggi veri e posti in un contesto assurdo. Solitamente si fa il contrario, si costruiscono personaggi irreali. O tutti buoni o tutti cattivi. Qui il buono è un antieroe all’inizio e diventa un eroe alla fine; lo zingaro che è il villan ha una fragilità che condividiamo tutti, questo bisogno di mettersi in vetrina perché se no non esisti”.

L’uscita in sala del film Lo chiamavano Jeeg Robot sarà accompagnato da un fumetto, in edicola da sabato 20 febbraio insieme a La Gazzetta dello Sport e disponibile con quattro copertine diverse.