I primi scatti sono di Leone XIII nei giardini vaticani, veri e propri fotogrammi-archetipo di un’epocale rivoluzione dello sguardo. Il papa della Rerum novarum scruta con curiosità anche quella “cosa nuova” che è il cinema e nel 1898 si concede benedicente davanti al mutoscopio dell’americano William K. L. Dickson. Quella prima epifania visiva di un papa «living and moving», come scrisse la stampa d’oltreoceano, incurvito e gracile nell’umanità dei suoi 88 anni, avrebbe drasticamente modificato la percezione di sacrale distanza che aveva caratterizzato fino ad allora il rapporto tra i pontefici e le masse di tutto il mondo. Al polo opposto dell’esposizione ecco invece le immagini di Pio XIII-Jude Law, lo young pope uscito dal “conclave” del talento visionario di Paolo Sorrentino, che, disinvolto nella sua veste bianca, si fuma assorto una sigaretta. Lì, dove la sintassi del grande cinema si mischia alle forme e ai pubblici del television drama contemporaneo, si ha forse la sintesi più chiara del processo di desacralizzazione che ha interessato la rappresentazione della figura del papa in 120 anni e poco più di cinema.

Pope Leo XIII (Vatican) di W. K. L. Dickson (1898), Antologia del cinema italiano. Il film muto di Antonio Petrucci (1956); fotogramma. Per gentile concessione del Centro Sperimentale di Cinematografia.
Pope Leo XIII (Vatican) di W. K. L. Dickson (1898), Antologia del cinema italiano. Il film muto di Antonio Petrucci (1956); fotogramma. Per gentile concessione del Centro Sperimentale di Cinematografia.
Pope Leo XIII (Vatican) di W. K. L. Dickson (1898), Antologia del cinema italiano. Il film muto di Antonio Petrucci (1956); fotogramma. Per gentile concessione del Centro Sperimentale di Cinematografia.
Pope Leo XIII (Vatican) di W. K. L. Dickson (1898), Antologia del cinema italiano. Il film muto di Antonio Petrucci (1956); fotogramma. Per gentile concessione del Centro Sperimentale di Cinematografia.

La mostra fotografica Papi in soggettiva. I pontefici, il cinema, l’immaginario (alla triennale di Milano da ieri fino al 18 ottobre) si muove tra questi due estremi e prova a raccontare con una carrellata di oltre 70 pannelli e centinaia tra scatti di scena, fotogrammi, prime pagine e documenti, spesso inediti, la complessa evoluzione del rapporto tra i papi e il cinema, sconfinando anche nel campo delle fiction trionfatrici dell’audience del terzo millennio. La Fondazione Ente dello Spettacolo, che ha realizzato l’esposizione in tandem con TMCommunication e Studio Grafico Migual, ha setacciato a questo scopo i più importanti archivi e cineteche d’Italia (tra cui, su tutti, l’archivio del Servizio fotografico de «L’Osservatore Romano» e la Cineteca Nazionale), ricevendo collaborazione anche dalle società di produzione (da Taodue a Sky/Wildside, da Sacher Film a Lux Vide).

La semi-soggettiva delle telecamere del Ctv su papa Francesco il giorno dell’elezione nel 2013. Servizio fotografico «L’Osservatore Romano»
La semi-soggettiva delle telecamere del Ctv su papa Francesco il giorno dell’elezione nel 2013. Servizio fotografico «L’Osservatore Romano»
La semi-soggettiva delle telecamere del Ctv su papa Francesco il giorno dell’elezione nel 2013. Servizio fotografico «L’Osservatore Romano»
La semi-soggettiva delle telecamere del Ctv su papa Francesco il giorno dell’elezione nel 2013. Servizio fotografico «L’Osservatore Romano»

I percorsi concettuali della mostra scorrono su due binari paralleli, lo sguardo dei papi verso il cinema e viceversa quello del cinema verso i papi, destinati ad incrociarsi in frangenti eccezionali: è il caso dei film promossi dalla Santa Sede, e persino recitati da pontefici in carne e ossa (Pio XII nel Pastor angelicus del 1942 è l’esempio più emblematico), e delle collaborazioni di grandi registi, come Ermanno Olmi e Wim Wenders per i giubilei del duemila, cercate e volute dai vertici vaticani per ricalibrare su nuove grammatiche estetiche le narrazioni televisive dei grandi eventi papali. Il caleidoscopio di materiali – dal quale saltano fuori pezzi pregiati, come le foto di Pio XI con gli operatori Paramount nel giorno del debutto di Radio Vaticana nel 1931 o i documenti del carteggio tra Paolo VI e Rossellini – servono a mettere a fuoco una relazione composita, spesso contraddittoria, ma mai neutra. La mostra in tal senso ha un approccio rigoroso e disincantato: guarda ai punti di luce, alle svolte innovative, ma non tace coni d’ombra, ritardi, contrasti. Così anche le dichiarazioni d’amore di papa Francesco verso il cinema neorealista e felliniano, assumono nuovi significati se lette come ultimo approdo di un legame ondivago fatto di duri scontri (la crociata contro Hollywood negli anni Trenta o la campagna contro La dolce vita) e chiare occasioni di convergenza (dai Discorsi sul film ideale di Pacelli allo storico incontro di papa Wojtyla a Hollywood nel 1987). Su queste coordinate va letto anche il viaggio nelle trasformazioni della raffigurazione dei papi in cinema e tv. La progressiva secolarizzazione nell’approccio e nello sguardo verso il supremo pastore della Chiesa emerge chiara nel disinvolto uso pubblico della storia da parte di produttori e registi (i casi opposti di Amen. e Sfumature di verità su Pio XII ne sono l’esempio più lampante), ed ha nei papi scaturiti dei trionfi immaginifici degli uomini di cinema (da Ferreri a Moretti, passando per Sorrentino) un approdo che va interpretato: sguardi spesso irriverenti, impietosi, cattivi, dissacranti, ma anche sguardi che aprono all’Altrove.