La duchessa di Langeais

Ne touchez pas la hache

FRANCIA 2007
La tormentata storia d'amore tra Antoinette de Navarreins, moglie del duca de Langeais, e il generale Armand de Montriveau sullo sfondo dei salotti della Restaurazione e, cinque anni dopo, quello di un convento sito in una remota isola spagnola.
SCHEDA FILM

Regia: Jacques Rivette

Attori: Jeanne Balibar - Antoinette de Langeais, Guillaume Depardieu - Armand de Montriveau, Michel Piccoli - Vidame de Pamiers, Bulle Ogier - Principessa de Blamont-Chauvry, Anne Cantineau - Clara de Sérizy, Mathias Jung - Julien, Julie Judd - Lisette, Marc Barbé - Marchese de Ronquerolles, Nicolas Bouchaud - De Trailles, Thomas Durand - De Marsay, Beppe Chierici - L'Alcalde, Remo Girone - Confessore del convento, Paul Chevillard - Duca de Navarreins, Barbet Schroeder - Duca de Grandlieu, Victoria Zinny - Madre superiora, Denis Freyd - L'abate Gondrand, Birgit Ludwig - Diane de Maufrigneuse, Claude Delaugerre - Auguste

Soggetto: Honoré de Balzac - romanzo

Sceneggiatura: Pascal Bonitzer, Christine Laurent, Jacques Rivette

Fotografia: William Lubtchansky

Musiche: Pierre Allio

Montaggio: Nicole Lubtchansky

Scenografia: Emmanuel de Chauvigny

Costumi: Maïra Ramedhan-Lévy

Altri titoli:

Die Herzogin von Langeais

Don't Touch the Axe

Durata: 137

Colore: C

Genere: ROMANTICO

Specifiche tecniche: 35 MM (1:1.85)

Tratto da: romanzo omonimo di Honoré de Balzac (Ed. Marsilio, 1996 - Coll. Letteratura universale. I fiori blu)

Produzione: PIERRE GRISE PRODUCTIONS, CINEMAUNDICI, ARTE FRANCE CINÉMA

Distribuzione: MIKADO

Data uscita: 2007-07-13

NOTE
- IN CONCORSO AL 57MO FESTIVAL DI BERLINO (2007).

- COREOGRAFIE: CLAUDIE MASSOT.
CRITICA
"Jacques Rivette ha presentato in concorso un film teatrale, sulle orme di Rohmer: 'Ne touchez pas la hache', tratto da Balzac, lo scrittore preferito dalla nouvelle vague. La costruzione evoca quella della Nobildonna e il duca, ma vent'anni dopo: un ex generale napoleonico (Guillaume Depardieu) s'innamora di una duchessa maritata (Jeanne Balibar), la corteggia a lungo, poi si stufa; allora lei corteggia lui, invano. Dopo anni, lui ci ripensa, ma lei ha sposato Cristo... Tutto ciò in due ore e un quarto, quasi tutte di dialoghi da camera. Così la fine non ha visto più in sala la maggior parte di chi era entrato." (Maurizio Cabona, 'Il Giornale', 16 febbraio 2007)

"Rivette e i suoi sceneggiatori tengono a proclamare la loro fedeltà al testo, ma si tratta di un atteggiamento più formale che sostanziale. Perché se la vicenda è rispecchiata perfettamente nella sua tripartizione (un prologo, un antecedente e un epilogo), con un'ambientazione suggestiva per ciò che riguarda il monastero dell'isola, le motivazioni dei personaggi risultano schematiche e quando entrano in scena i misteriosi 13 non si sa chi sono. Sulla durata di oltre due ore, i tira e molla di Armand e Antoinette risultano stucchevoli fra un continuo tintinnio di campanelli per chiamare la servitù, l'accensione o spegnimento dei candelabri, il fuoco da ravvivare nel caminetto, le visite annunciate con sussiego. Né bastano a riaccendere l'interesse le pregevoli partecipazioni di Bulle Ogier, Michel Piccoli e Remo Girone. Il tutto in una cornice post-viscontiana estetizzante e priva di nerbo. Della carne e del sangue di cui si nutre il romanzo, nelle raffinate immagini di William Lubtchansky resta ben poco; e Jacques Rivette rischia di venir ricordato come l'anestetizzatore di Balzac." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 11 luglio 2007)

"Una rivisitazione quasi alla lettera, anche negli splendidi dialoghi, nello stesso tempo, però, totalmente creativa, all'insegna di quel cinema di cui, in Francia, Rivette è uno degli esempi maggiori. (...) Ricostruendo l'epoca con immagini e costumi preziosissimi, graduando gli incontri e gli scontri con fine ed elegante dinamismo e facendoli sostenere da battute di dialogo che, nella versione originale, erano un gioiello purissimo, senza mai una ridondanza, anzi, pur nella loro distanza d'epoca, sempre asciutti e «parlati». Un film alto, di rigore assoluto. I protagonisti, Jeanne Balibar e Guillaume Depardieu, non hanno molti carismi, ma basta ascoltarli per esserne conquistati." (Gian Luigi Rondi, 'Il Tempo', 12 luglio 2007)

"Giurando fedeltà allo scrittore, il cineasta Jacques Rivette e gli sceneggiatori Pascal Bonitzer e Christine Laurent hanno compresso per il grande schermo la storia della nobildonna sposata Antoniette de Navarreins che vive frivola di sguardi e adulazioni maschili ai frequenti balli parigini, dove nota il giovane e glorioso comandante napoleonico Armand De Montriveau. (...) Rivette passa in crescendo dal tocco ironico alla tragedia di un ingovernabile, folle, impossibile amore con una esatta calligrafia di indugianti piani-sequenza, didascalie, poche unità di luogo. A completare la cornice, conversazioni scandite dal pendolo, luce di sole e candele, cigolii di parquet e fruscio di seta e velluti, odore di guanti e sigari sulle tracce del desiderio. Generalmente gli artisti invecchiando perdono smalto, nel caso del maestro francese invece lo struggimento sentimentale si fa poema." (Federico Raponi, 'Liberazione', 13 luglio 2007)

"Il venerabile Jacques Rivette ha scelto l'episodio 'La duchessa di Langeais', proprio il meno avvincente dei tre che compongono 'La storia dei Tredici' (gli altri s'intitolano 'Ferragus' e 'La fanciulla dagli occhi d'oro'): ne risulta un film troppo fedele alle digressioni psicologiche e saggistiche dell'originale e troppo infedele nel tono di sceneggiatura marchiato a fuoco dal tipico intellettualismo cinéfilo-parigino. (...) Guillaume Depardieu entra di forza nel ruolo del protagonista, anche perché la sua menomazione fisica rende credibile il penoso deambulare di un reduce di mille battaglie; mentre Jeanne Balibar, ovviamente osannata in ambito patriottico, si esibisce in una pantomima da diva del muto poco meno che ridicola. La cornice appropriata, la buona volontà dei comprimari (tra cui l'ottimo Remo Girone) e l'elegante fotografia sono all'altezza del carisma di Rivette; ma, che gli dèi del cinema lo perdonino, è inaudito il modo in cui fa diventare stucchevole e noioso un feuilletonista nato come l'impareggiabile Honoré." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 14 luglio 2007)