Frantz

4/5
Mèlo in b/n dalle sotterranee ascendenze hitchcookiane: Ozon al suo meglio

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FRANCIA 2016
Dopo la fin della guerra 14-18, in una piccola città tedesca, Anna si reca ogni giorno presso la tomba del suo fidanzato Frantz, morto al fronte in Francia. Un giorno, arriva in città il giovane francese Adrien, anche lui desideroso di rendere omaggio alla tomba dell'amico tedesco. La presenza di Adrien, vista la sconfitta dei tedeschi, provocherà una serie di reazioni molto forti e sentimenti estremi tra i cittadini.
SCHEDA FILM

Regia: François Ozon

Attori: Pierre Niney - Adrien, Paula Beer - Anna, Ernst Stötzner - Hoffmeister, Marie Gruber - Magda, Yohann von Bülow - Kreutz, Anton von Lucke - Frantz, Cyrielle Clair - Madre di Adrien, Alice de Lencquesaing - Fanny

Sceneggiatura: Philippe Piazzo - collaborazione, François Ozon

Fotografia: Pascal Marti

Musiche: Philippe Rombi

Montaggio: Laure Gardette

Scenografia: Michel Barthélémy

Arredamento: Catherine Jarrier-Prieur, Maresa Burmester

Costumi: Pascaline Chavanne

Effetti: Mikael Tanguy, Umedia

Durata: 113

Colore: B/N

Genere: DRAMMATICO

Tratto da: liberamente ispirato al film "L'uomo che ho ucciso" (1932) di Ernst Lubitsch

Produzione: MANDARIN PRODUCTION, X. FILME ET FOZ

Distribuzione: ACADEMY TWO

Data uscita: 2016-09-22

TRAILER
NOTE
- DIPINTO: "IL SUICIDA" DI EDOUARD MANET.

- POESIA: "CANZONE D'AUTUNNO" DI PAUL VERLAINE.

- PREMIO MARCELLO MASTROIANNI A UNA GIOVANE ATTRICE EMERGENTE A PAULA BEER ALLA 73. MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2016).
CRITICA
"Probabilmente Ozon (...) voleva equilibrare il quadro del risorgente nazionalismo che il pacifista Rostand raccontava a proposito della Germania con scene simili anche per la Francia (c'è una retoricissima Marseillaise intonata in un caffè) mostrando che nel Paese vincitore la vita non era più facile di quella nel Paese sconfitto. Ma ottiene solo di sdilinquire il dramma e rendere ancor più fragile (ma non certo dolente) il personaggio di Adrien, che trova rifugio tra le braccia di una madre ricca e possessiva contro cui l'amore di Anna nulla può. E che neppure l'uso del bianco e nero che ogni tanto diventa colore (con un eccesso di schematismo didascalico) riesce a riscattare da una sostanziale superficialità." (Paolo Mereghetti, 'Corriere della Sera', 4 settembre 2016)

"(...) un film severo, controllato, arciclassico, quasi tutto in bianco e nero, che riprende uno dei rari Lubitsch drammatici («Broken lullaby», 1931), a sua volta ispirato a un testo teatrale di Maurice Rostand. (...) esaltato da un'ambientazione più che accurata, da dialoghi densi di sottintesi, da attori tutti discrezione e sottotesto (in testa Paula Beer e Pierre Niney, la fidanzata e il francese) come esige questa storia romantica di perdono e dolore. Ma senza mai fugare del tutto un sospetto di maniera, l'ombra dell'esercizio di stile, la perfezione un po' sterile del calco che seduce ma non emoziona mai fino in fondo." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 4 settembre 2016)

"Ozon passa dal tedesco al francese, e dal bianco e nero al colore, con uno stile controllato e un po' inerte, senza affondare il pedale del melodramma e come non arrivando mai al cuore della storia." (Emiliano Morreale, 'La Repubblica', 4 settembre 2016)

"(...) François Ozon gioca sui registri del melodramma, una cifra che ricorre nei suoi film, l'amor fou, l'amore impossibile, raggelato nell'ambiguità in cui sospende le storie, i personaggi, le loro relazioni. (...) Ozon sceglie un bianco e nero che lascia in alcuni passaggi lo spazio al colore, memoria o istante impossibile di felicità poco importa, perché è ciò che rimane fuori dal bordo a interessarlo, lo spazio della narrazione che inventa altri mondi e altre realtà. (...) Un orizzonte sfumato tra vero e falso che si allarga nel potere immaginifico della parola, a cui Ozon affida le variazioni del sentimento, l'universo di una donna che in sé racchiude tutto il vero, e nella sua messinscena sa renderlo una variante. Non la sola, ma una tra le infinite possibili." (Cristina Piccino, 'Il Manifesto', 4 settembre 2016)

"Con due attori formidabili (Paula Beer più di Pierre Niney) Ozon cuce una suspense magistrale sostenendo come la riconciliazione passi dalla fine della vendetta di guerra, se serve anche con la menzogna, che qui comporta un sacrificio d'amore. Tuttavia, a lasciare meno convinti è proprio quel formalismo da riscrittura del mélo d'epoca, sul quale però i cuori potranno sorvolare." (Silvio Danese, 'Nazione-Carlino-Giorno', 4 settembre 2016)

"Ozon ci vuole mettere dentro troppe cose: l'umiliazione della sconfitta, il senso di colpa e la difficoltà a perdonare... (...) Nell'intreccio di verità e di bugie che suggellano questo incontro-scontro di nazionalità e di stati d'animo, non sempre tutto fila liscio e l'impressione è che il regista a volte imbocchi una strada per poi lasciarla bruscamente cadere. (...) Curato nella ricostruzione di un'epoca, con il perdono che a volte sfocia in perdoniamo, 'Frantz' non risolve mai il dilemma di che tipo di film vorrebbe essere: d'amore, di guerra, di denuncia, pacifista eccetera." (Stenio Solinas, 'Il Giornale', 4 settembre 2016)

"Bianco e nero - con qualche incursione nel colore - voglia di atmosfere alla 'Jules et Jim' di un altro François, più bravo; uno strizzar d'occhi al 'Nastro bianco' di Michael Haneke, e una spruzzata di 'Casablanca'. Ma la sensazione è che, per Ozon, il cinema sia soprattutto un esercizio di stile, un giocare con il cinema, senza la voglia di graffiare la carne della verità. (...) Sarebbe una bella storia (...) e sarebbe un bel film, se Ozon non fosse palesemente preoccupato solo di sistemare le sue pedine-attori, i suoi treni al vapore, i suoi interni d'epoca. Eppure gli attori sono bravi, specialmente Paula Beer (...), appena vent'anni: ma l'insieme suona falso, come un violino con una fessura nella cassa armonica." (Luca Vinci, 'Libero', 4 settembre 2016)

"(...) Ozon (...), in un bianco e nero giocato con stile classico, ha fatto proprio il racconto: assumendo sulla vicenda, lui francese, il punto di vista tedesco; sottolineando il tema del nazionalismo foriero di odio e sangue; eleggendo a protagonista la fidanzata di Frantz, cui l'attrice Paula Beer, giustamente premiata a Venezia, conferisce una sensibilità di eroina proto-moderna." (Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 22 settembre 2016)

"È un inno alla pace il nuovo lavoro di François Ozon, prolifico e poliedrico cineasta transalpino, qui in una delle sue prove migliori. (...) Ozon riesce con rigore e maestria ad imbastire uno splendido film sul valore (paradossale) della menzogna, partendo dall'idea che lo stesso dispositivo cinematografico è una falsificazione del reale. Opera governata dai fantasmi, in un b/n e colore alternato struggente e prezioso." (Anna Maria Pasetti, 'Il Fatto Quotidiano', 22 settembre 2016)

"(...) il nuovo film di Ozon è una gemma imprevedibile in bianco e nero sul tema del doppio. Due società (c'è affettuosa satira: i tedeschi sono sempliciotti ma trasparenti; i francesi invadenti e sensuali), due uomini (erano amici, nemici o amanti?), due donne. (...) La Beer è divina e nelle mani di Ozon diventa irresistibile più passano i minuti (come tutto il film). Il titolo è 'Frantz' ma noi lo ricorderemo grazie a una splendida attrice di nome Paula. Meritatissimo il premio Mastroianni per l'attore emergente alla (...) Mostra del Cinema di Venezia." (Francesco Alò, 'Il Messaggero', 22 settembre 2016)

"Piacerà a chi ha imparato, anno dopo anno, film dopo film ad amare il parigino Ozon e la sua ricerca del cinema perduto. Qui era perdutissimo, 'Frantz' è il remake di 'Broken Lullaby', dimenticato film di Lubitsch di 85 anni fa. Ozon ha fatto persino meglio del grande Ernest, concertando alla grande il mélo e il giallo, la polemica contro la guerra e l'affresco d'epoca." (Giorgio Carbone, 'Libero', 22 settembre 2016)

"Un delicato, struggente mélo attorno alla passione, al perdono e alla follia della guerra, in bianco e nero con i flashback a colori. Toccante, anche se un po' lento." (Massimo Bertarelli, 'Il Giornale', 22 settembre 2016)

"(...) il film (...) riflette su senso di colpa e menzogna, perdono, assenza e sentimenti non corrisposti, giocando con gli elementi del melodramma." (Alessandra De Luca, 'Avvenire', 23 settembre 2016)